il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2018
La lama di ghiaccio di Tonya: il triplo axel e la lotta di classe
La vicenda di Tonya Harding e Nancy Kerrigan – appena resuscitata dal film interpretato da una sensazionale Margot Robbie – all’epoca dei fatti conobbe straordinaria popolarità, soprattutto in America, perché suffragava con perfetto tempismo una tesi che all’avvento clintoniano andava per la maggiore: la constatazione che nella nazione si fosse generata una nuova classe sociale, ovvero un sottoproletariato selvaggio, vagabondo e, a intermittenza, perfino dotato di un qualche potere di acquisto – comunque un prodotto residuale e lazzaronesco della vecchia lower class –, che ne tradiva usi, credenze e costumi. La battezzarono white trash, il popolo dei peggiori suburbia e dei trailer park, ad alto tasso alcolico e farmacologico, con occupazioni incerte, zero cultura, molta violenza e tanto desiderio di possedere.
Ebbene, l’epico scontro tra Tonya e Nancy, fino al brutto epilogo e agli scandalosi sviluppi, raccontava proprio questo: il faccia a faccia senza esclusione di colpi tra un’America middle class perbenista e alla American Graffiti e questa emergente wild America insoddisfatta e aggressiva, senza ritegno e decenza. Il terreno del confronto era erano le evoluzioni del pattinaggio artistico sulla pista del ghiaccio, territorio familiare per buona parte degli americani degli Stati settentrionali, quanto i campetti di pallone per noi e i nostri figli. La Barbie Nancy e la monella Tonya, all’imbocco degli anni 90, erano acerrime rivali e il pubblico andava pazzo per questa sfida. Secondo gli esperti, Tonya era leggermente superiore all’avversaria e c’erano figure che sul ghiaccio solo lei sapeva interpretare, ma Nancy piaceva di più: agli sponsor che la corteggiavano, con sommo dispiacere dell’altra, alle giurie, sempre pronte a strizzarle l’occhio (mentre si dimostravano arcigne e inflessibili con Tonya), e anche alla maggioranza degli spettatori, deliziati dal suo dolce sorriso e dai suoi eleganti completini, a cui la Harding contrapponeva le tragiche creazioni cucite da lei stessa o da sua madre. Già, la mamma di Tonya: altro personaggio che il pubblico imparò a conoscere e disprezzare. Lavona Golden, un po’ sciroccata, col debole per ogni genere di trasgressione e una brutta fama di picchiatrice in famiglia. E però Tonya sapeva rimontare il palese distacco sociale, il gap nella popolarità apparentemente incolmabile, pattinando con un coraggio e una grinta che Nancy nemmeno si sognava.
La rivalità aumentava: alle Olimpiadi di Albertville del ’92 la Kerrigan arriva terza, la Harding quarta, dopo che solo un anno prima i campionati nazionali se li era aggiudicati lei eseguendo, prima americana a riuscirci il leggendario triplo axel, figurazione riservata agli angeli e alle super-eroine. Quando cominciano i testa a testa per la qualificazione alle Olimpiadi Invernali, di Lillehammer ’94, la competizione però travalica e si trasforma in crimine puro. A tramare è un gruppo di tipi poco raccomandabili, l’entourage maschile della Harding: l’ex consorte Jeff Gillooly, la guardia del corpo Shawn Eckhardt e Shane Stant, il complice assoldato per aggredire Nancy Kerrigan allo scopo di farla fuori dal confronto con Tonya e dai guadagni che ne dipendevano. Al termine di un allenamento sulla pista di Detroit, Stant con un randello colpisce Nancy al ginocchio, per farle male davvero. Colpevoli e moventi vengono identificati rapidamente, ma da subito rimane confusa la posizione di Tonya: mandante, complice, o lei stessa vittima del progetto delinquenziale dei suoi associati? Mentre il pubblico dei talk show si appassiona, la situazione precipita. Entrambe le pattinatrici partecipano alle Olimpiadi, la ristabilita Nancy approdando a un brillante 2° posto, mentre il brutto anatroccolo Tonya incappa nel laccio slacciato di uno scarpino, che compromette la performance, a dispetto del nuovo triplo axel eseguito.
Intanto la faccenda, ormai seguita parossisticamente dai rotocalchi, si è spostata nell’aula del tribunale: gli uomini di Tonya finiscono tutti condannati e lei, svergognata, viene espulsa dalla federazione e segnata a dito come incarnazione della perfidia moderna, simbolo dell’insorgente decadenza morale americana. Il finale somiglia alla morale di una favola: per Tonya l’unico modo di sbarcare il lunario diventa quello di trasformarsi in pugilessa professionista, incassando cazzotti e mettendo a frutto la sua indole da ragazzaccia di strada. Il suo nome ormai è il sinonimo di quella “spazzatura bianca” che il paese sta producendo dagli interstizi molli del suo capitalismo ad alta pressione. Per lei saranno anni di anonimato e rimpianti, fino alla parziale rivincita di questo film, che almeno le restituisce un’anima, un cuore e un talento. All’epoca invece gli americani se ne dimenticarono rapidamente, una volta spolpato l’osso dello scandalo. Già ne era spuntato uno ancora più succulento: Lorena Bobbitt aveva tagliato il pene al marito con un coltello da cucina. Gli States si crogiuolavano nei nuovi orrori. E il baraccone di OJ Simpson già aveva acceso le luci per la sua grande rappresentazione.