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 2018  aprile 07 Sabato calendario

Papà non ci sente, mamma dimentica e Dibba telefona

Domenica sera sono stata ospite di Massimo Giletti, a Non è l’Arena. Tra una domanda e l’altra il conduttore mi ha domandato se, come ho raccontato sui miei social tempo fa, fosse vera la storia che mio padre, a 84 anni, avesse riacquistato entusiasmo per la politica e per i 5 Stelle, con tanto di campagne elettorali particolarmente insistenti all’interno del nucleo familiare alla vigilia delle elezioni del 4 marzo. Gli ho spiegato divertita che in effetti mio papà da un anno circa ha questo innamoramento adolescenziale per Alessandro Di Battista e che forse, chissà, Dibba è il figlio che avrebbe desiderato avere e invece gli sono toccata io.
La cosa pareva finita lì e invece dopo la messa in onda dell’intervista ricevo un sms da Di Battista (che tra l’altro non conosco): “Hey Selvaggia, vorrei telefonare a tuo padre per ringraziarlo, che ne dici?!”. Sorrido come una liceale, penso a mio papà che risponde al telefono e sente Dibba che gli dice “Ehi Nicola!” e tutto d’un tratto capisce che non sono poi tutta ‘sta ciofeca di figlia. È il mio riscatto con lui. È la laurea che non ho mai preso. È il pianoforte che non ho mai voluto imparare a suonare.
Poi, passato l’entusiasmo iniziale, mi si presenta davanti la situazione che è meno liscia di quello che sembra. Vado a spiegare perché.
I miei genitori sono persone meravigliose ma abbastanza naïf. Vivono lontano dal centro di qualsiasi cosa in una borgata con pochi abitanti che sembra West World dopo un’apocalisse nucleare. La borgata con case di tufo è una zona di campagna tra Civitavecchia e Tarquinia segnalata da alcune mappe tedesche della Seconda guerra mondiale, forse, ma non sulla Lonely Planet, ecco. I miei genitori non hanno un telefono fisso, l’antenna tv prende canali in base al vento del giorno: con lo scirocco si vede la Rai, con la tramontana Mediaset. Sky è una cosa di cui i miei hanno sentito parlare ma non sanno se esiste veramente, tipo gli elfi dei boschi. O la fidanzata di Garko.
Non hanno computer e connessione internet, il che è un bene, così non sanno che per un buon cinquanta per cento di utenti della civiltà 2.0 la mia collocazione giusta sarebbe sotto un tir.
Possiedono però un cellulare con i numeri grossi come il Pantheon che spesso dimenticano spento. Non sanno leggere gli sms né inviarli ma insomma, ogni tanto ricevono e fanno chiamate, sebbene il segnale in casa sia abbastanza incerto. Insomma, sono genitori.
Quindi Dibba potrebbe provare a chiamarli oggi e trovare libero il 26 ottobre, penso.
Ma neanche questa è la parte più complessa.
La parte più complessa è che mia mamma ha qualche problema con la memoria a breve termine e che mio padre è sordo ma sordo tipo che se un jet rompe il muro del suono lui dice: ha bussato qualcuno alla porta? Considerate che quando vado da loro e accendo incautamente la tv impostata col volume con cui l’ascolta mio papà, il cane si nasconde sotto al comò e per farlo uscire mi tocca cucinargli roast-beef.
Questa storia è motivo di ilarità da sempre anche perché mio padre se la vive con grande autoironia, ma resta il fatto che quando io sono in un luogo pubblico e parlo – urlo – al telefono con mio papà, sembra sempre che abbia un parente a Narnia o che sia riuscita a stabilire un contatto con Doc di Ritorno al futuro. Realizzo dunque che papà potrebbe avere qualche problema di conversazione e quindi lo chiamo e gli urlo: “Papà, ti chiamerà Di Battista. Fai una cosa. PASSAGLI MAMMA così poi lei ti riferisce!”. “Eh sì, certo, così poi tua madre attacca e si scorda cosa mi deve riferire!”. Merda. Comincio a essere dispiaciuta del fatto che mio padre non abbia dato il voto a Berlusconi, se non altro perché Silvio per ringraziarlo al massimo gli avrebbe mandato una baldracca a casa e in definitiva sarebbe stato tutto più semplice.
Penso a come risolvere la faccenda, anche perché non voglio privare mio padre dalla più grande gioia della sua vita dopo l’ultimo derby vinto dal Genoa contro la Sampdoria. Che è accaduto non proprio di recente. Allora scrivo a Di Battista il seguente messaggio: “Chiamalo pure ma mi raccomando: urla come Grillo nelle piazze”.
Penso che se mio papà avesse votato Salvini sarebbe stato tutto più semplice. Salvini lo avrebbe ringraziato con un post su fb del tipo: “Amici, ringraziamo insieme questo anziano signore bianco che ha lavorato tutta la vita per il paese e si è ritrovato con questa grandissima stronza di figlia buonista!”. I suoi due milioni di civilissimi follower mi avrebbero dato della zoccola e sarebbe stato tutto più liscio.
Comunque. Alla fine Di Battista – sant’uomo – chiama davvero mio papà. Me lo riferisce lui, ma io me ne convinco solo quando me lo conferma anche Dibba. Il dubbio che lo avesse chiamato un operatore Fastweb e mio papà fosse andato avanti per mezz’ora a dirgli “Ti stimo anche per questa cosa che te ne vai in Guatemala!” e quello gli avesse risposto “Ma va a caghèr!” come l’operatore Aci al mitico Furio di Bianco, Rosso e Verdone un po’ ce l’avevo, lo confesso. Invece no, si sono parlati davvero. Giuro. Cosa si siano detti però è e resterà (giustamente) mistero fitto, anche perché esistono – inevitabilmente – due versioni contrastanti. Entrambe belle però. Di sicuro, mio padre si conferma un grillino particolarmente affezionato e rappresentativo dell’indole degli elettori: puoi provare a spostarli dalle loro convinzioni, ma tanto loro da quell’orecchio non ci sentono. Mio padre nello specifico, neanche dall’altro.
Vabbè, tutto questo per dire una cosa: ti si vuole bene, Dibba. E anche a te papà. Anzi: ancheeee a te papàààààààà.
P.s. Sarebbe stato tutto più liscio se mio padre avesse votato Renzi. Matteo lo avrebbe ringraziato dicendo “Lei è la dimostrazione che i giovani credono ancora nel Pd!” e tanti saluti.