Libero, 6 aprile 2018
Rai3, da Tele Kabul a Tele trans
Presto, lo sappiamo, da Rai Tre, la ribattezzeranno Rai Trans, passata com’è dalla difesa del proletariato e dalla retorica su lavoro e uguaglianza tipica dell’ideologia comunista alla nuova narrazione sui diritti dei gay e, più in generale, del mondo Lgbt. È la sorte di TeleKabul che, nei suoi programmi di attualità e approfondimento, ormai da tempo, anziché di generi tv si occupa di generi sessuali.
In questo filone si inserisce il nuovo programma condotto, a partire dal 19 aprile, da Sabrina Ferilli e intitolato Storie del genere, dedicato ai trans, persone che hanno avviato un percorso di cambiamento dal punto di vista sessuale, e che soffrono o hanno sofferto in un corpo non riconosciuto come loro, in quanto «maschi e femmine nati nel corpo sbagliato», come recita la conduttrice nel primo.
Senti il lancio del programma, che si articolerà in sette puntate in seconda serata, scopri che nel docu-reality l’attrice romana sarà affiancata da una squadra di psicologi, e capisci che dietro le storie raccontate si nasconde un vissuto di sofferenza, a volte un vero e proprio disturbo per cui occorre una diagnosi, la cosiddetta disforia di genere. E allora pensi a quante volte è stato marchiato a fuoco chiunque ha osato parlare di diverse condizioni sessuali come di una malattia e a quanto quella posizione, in specifici casi, trovi supporto nella realtà. Perché essere trans, è il programma stesso a dirlo, non è il prodotto della libera scelta di chi vuole provare altre esperienze sessuali, ma è la conseguenza di uno stato di disagio, di una mancata coincidenza tra anima e corpo, di un malessere profondo che porta a decisioni radicali.
Dietro questo racconto c’è sicuramente traccia dell’ideologia gender, che celebra la disgiunzione tra sesso biologico e orientamento sessuale e la possibilità di revocare il primo a vantaggio della seconda. Ma c’è soprattutto l’esplorazione, anche dolente, di uno spaccato di umanità tormentata, bisognosa di aiuto, per la quale si chiede «rispetto e accoglienza», oltreché assistenza medica. In seconda istanza, viene da domandarsi quale sarà il possibile target di un programma simile. Già analoghi format destinati a tematiche Lgbt, come Stato civile L’amore è uguale per tutti, su RaiTre, dedicato a storie di coppie gay unite civilmente, non hanno fatto registrare, a voler usare un eufemismo, il pieno di ascolti: il programma ha veleggiato tra il 5,2% di share dell’esordio nel novembre 2016 e il triste 3,05% dello scorso ottobre.
Spettatore sparuti così come erano pochissimi i gay interessati a unirsi civilmente (nei primi otto mesi dopo l’approvazione della legge Cirinnà, certificava Repubblica, in Italia c’erano state appena 2.800 unioni civili, un flop). Allo stesso modo, non si capisce chi potrebbe essere motivato a seguire il programma della Ferilli: spettatori “morbosi” a caccia di storie sensazionali o di vicende strappalacrime (gente che magari assiste volentieri alle Storie incredibili su Real Time), nuclei di ultrà del mondo Lgbt, oppure trans che si identificano in quei racconti per evidenti ragioni.
Ma parliamo pur sempre di un programma di nicchia, se non di “micchia”, come direbbe Checco Zalone.