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 2018  aprile 07 Sabato calendario

La Parigi dell’orrore crocevia per il lager

L’omicidio di Mireille Knoll, l’ottantacinquenne ebrea parigina uccisa a coltellate da un fanatico, ha riproposto la questione dell’antisemitismo in Francia. La donna era scampata al rastrellamento del luglio 1942, quando migliaia di ebrei furono strappati dalle loro abitazioni e ammassati nel Velodromo d’Inverno, destinati ai campi di sterminio nazisti. Forse è questa ironia del destino, l’aver evitato gli artigli della Gestapo per poi finire vittima di un esaltato in casa propria, ad aver rievocato l’operazione nota come La rafle du Vel d’Hiv. Benché ne siano stati scritti vari libri e tratto un film – Vento di Primavera, con Mélanie Laurent, è uscito nel 2011 – i francesi ne parlano poco, e si capisce. I tredicimila ebrei raccolti finirono ad Auschwitz, ma l’orrore non consiste solo in questo. Consiste nel fatto che l’operazione fu interamente condotta dalla polizia parigina. I nazisti, che l’avevano ordinata, se ne stettero a guardare compiaciuti.
Nel 1942, la Francia era governata dal regime collaborazionista di Philippe Pétain. In realtà era divisa in due: a nord, e lungo tutta la costa atlantica, era occupata dai tedeschi; a sud, ad eccezione di una piccola porzione in mano agli italiani, era territorio sovrano. La politica antisemita di Hitler era stata definita nel gennaio di quell’anno nella riunione di Wannsee, dove R Heydrich, il vice di Himmler, aveva illustrato la cosiddetta Soluzione Finale: cioè lo sterminio fisico di tutti gli ebrei d’Europa, compresa quella non ancora conquistata. Per ragioni tattiche e logistiche l’eliminazione sarebbe stata progressiva: in Francia, ad esempio, si sarebbe cominciato con gli apolidi e gli stranieri, per estendersi poi a tutti, compresi i cittadini residenti nella zona libera. 
MARESCIALLO
Le operazioni sarebbero state dirette dalle SS, ma eseguite, dove possibile, dalla polizia locale. Il vecchio maresciallo Pétain, non si oppose a tanto misfatto; il suo primo ministro, Laval, lo assecondò e lo superò in entusiasmo, sorprendendo persino i nazisti. Fu così che, la mattina del 16 Luglio 1942, migliaia di poliziotti della Prefettura di Parigi – quattromila, secondo alcune fonti, più di seimila secondo altre – circondarono ed isolarono il Marais ed altri quartieri abitati da israeliti, trassero di casa oltre tredicimila uomini, donne e bambini, e li raggrupparono nel Velodromo d’Inverno, in attesa di spedirli in Germania.
Il rastrellamento fu raccontato dai pochi superstiti in modo ineguale: alcuni narrarono di brutalità gratuite da parte dei gendarmi, altri di aiuti compassionevoli e di agevolazioni all’evasione. Come in tutte le vicende, si vide il meglio e il peggio della natura umana. Vi furono certamente poliziotti che rischiarono il posto, e forse la vita, per favorire la fuga di qualche sventurato; così come altri eseguirono quegli ordini odiosi con zelante sollecitudine. La gran parte comunque si adeguò al compito.
GLI INTERNATI
Le condizioni degli internati nel Vel d’Hiv furono inumane. Un caldo soffocante, aggravato dalla mancanza di acqua e di cibo. Inesistenti l’assistenza medica, i servizi igienici e persino lo spazio. I Poveretti furono accalcati sulle gradinate, senza potersi muovere né distendere. Qualcuno cercò di fuggire, e fu abbattuto sul posto. Cento di loro si suicidarono. Dopo quattro giorni di agonia, gli uomini furono divisi dalle donne e dai bambini: di questi ultimi, i tedeschi non sapevano cosa fare. Fu lo stesso Laval a disporre che seguissero lo stesso destino dei genitori. Così cominciò per tutti il calvario verso Auschwitz e le camere a gas. Dei 13152 che partirono, ne tornarono pochi, forse meno di cento. I bambini morirono tutti.
L’ Operazione vento di primavera- come fu ironicamente chiamato questo vero e proprio genocidio in miniatura – fu un episodio quantitativamente minore rispetto alle enormi stragi compiute nell’Europa Orientale, dove gli Einsatzcommando riuscivano ad assassinare anche cinquantamila persone in un solo giorno. Tuttavia rimase – e rimane – tristemente famosa, perché fu l’unica massiccia retata eseguita esclusivamente dalla polizia locale. Benché i tedeschi avessero istituito nei vari territori occupati dei regimi fantoccio, erano sempre intervenuti con le loro truppe nella cattura degli ebrei. Vi furono, è vero, segnalazioni e operazioni isolate delle varie milizie collaborazioniste, ma si trattò, appunto, di fatti episodici e di dimensioni limitate, ammesso che nel catalogo delle nefandezze umane si possa fare una classificazione puramente quantitativa. 
LA MACCHIA
Sta di fatto che la Rafle du Vel d’Hiv costituì una macchia indelebile della storia di Francia. Noi italiani, che certo non rievochiamo volentieri quel periodo funesto, e che ricordiamo con orrore i duecentoquarantaquattro ebrei di Venezia catturati dalla milizia di Salò, possiamo almeno consolarci che il rastrellamento del ghetto di Roma fu eseguito esclusivamente dai nazisti, che la grande maggioranza degli altri ebrei fu salvata, a rischio della vita, dalla nostra popolazione e dai nostri sacerdoti, e che nella zona francese, occupata dal nostro esercito, gli ebrei trovarono rifugio fino all’8 Settembre del 43. 
Dopo la guerra, la Francia portò alla sbarra i colpevoli. Pétain e Laval furono accusati di tradimento e di attentato alla sicurezza dello Stato, e per questo furono condannati a morte, anche se il vecchio maresciallo fu graziato da De Gaulle, evitando, a differenza di Laval, il plotone di esecuzione. Questi crimini politici assorbirono quelli, moralmente assai più gravi, commessi contro l’umanità, e in particolare contro gli ebrei. Dovettero passare cinquant’anni perchè Jacques Chirac ammettesse le responsabilità della Francia di Vichy nella persecuzione antisemita, ed ancor oggi, di tanto in tanto, qualche negazionista insinua che si trattò di operazioni condotte dalla Gestapo. Purtroppo i tanti documenti e le poche immagini, recuperate a fatica, mostrano esattamente il contrario. Con grande coraggio, il presidente Macron ha ammesso, nel 75mo anniversario dell’evento, che «non vi fu coinvolto un solo soldato tedesco».
Il Velodromo d’Inverno, che forse si sarebbe dovuto consacrare a perenne memoria di tanta brutalità, riprese invece a funzionare come se niente fosse accaduto. Subito dopo la liberazione di Parigi, il Partito Comunista Francese vi tenne la sua prima riunione, tra canti e battimani, dimenticando che, fino all’invasione dell’Unione Sovietica, nel Giugno del 41, quello stesso partito aveva plaudito all’alleanza tra Hitler e Stalin, auspicando la sconfitta delle plutocratiche democrazie occidentali. Poi il complesso ospitò cantanti, riviste, persino un circo equestre e una corrida. La Provvidenza si occupò, con ingiustificato ritardo, di regolare i conti: nel 1959 un incendio lo semidistrusse, e fu definitivamente demolito.