la Repubblica, 7 aprile 2018
Cecil Taylor, addio al genio del pianoforte sperimentale
Si dice spesso che la chitarra elettrica era un prolungamento del corpo per Jimi Hendrix. Era così anche per il pianoforte di Cecil Taylor, scomparso all’età di 89 anni. Il suo approccio allo strumento era estremamente fisico, carnale, appassionato, anche quando la musica si faceva più intricata e difficilmente comprensibile. Taylor non suonava il pianoforte, “era” il pianoforte, al punto di trasformarlo, come spesso si è detto, in un “tamburo di ottantotto tasti accordati”.
Ma non c’era solo il corpo e l’immediatezza o la genialità.
Taylor era un musicista incredibilmente intelligente, un teorico, uno sperimentatore assoluto, un esploratore del mondo dei suoni come ce ne sono stati pochi nella storia della musica. E lo è stato in molti modi diversi, a partire dal leggendario quartetto con Steve Lacy alla metà degli anni Cinquanta, fino alle radici del free jazz, alle sperimentazioni con Coltrane o con Archie Shepp, e a quelle con Sam Rivers e Max Roach o agli europei Evan Parker, Han Bennink e soprattutto Tony Oxley. Taylor metteva insieme fantasia e libertà, intensità e bellezza, assurdità e sorpresa. Certo, non era facile amarlo e seguirlo, trovavi le sue mani sul pianoforte sempre lì dove non ti aspettavi che fossero e dovevi faticare non poco per seguire i suoi pensieri, le sue costruzioni, il suo ragionamento. Perché di ragionamento si trattava, non soltanto di improvvisazione: Taylor, al pari di musicisti come Albert Ayler e Ornette Coleman, aveva scelto la radicalità fin dall’inizio della sua avventura, mettendo a frutto tutto quello che aveva imparato in tanti anni di studio per provare a scoprire quello che non sapeva, quello che non conosceva, sfruttando una prodigiosa tecnica e lo strumento dell’improvvisazione per scrutare nel fondo dell’anima e della musica. Ci sono alcuni album memorabili, per quanto lontani da ogni forma di ascolto “facile”, come il bellissimo Conquistador del 1966, o Silent tongues del 1974, che meritano di essere ascoltati, ma sono moltissime le perle inanellate da Taylor negli oltre sessant’anni della sua avvincente carriera.
Oggi in molti lo celebrano, ma Taylor è stato a lungo un “incompreso”. Spesso, specie agli esordi, non riusciva a trovare ingaggi per la eccessiva difficoltà della sua musica, ma senza di lui, senza la sua lucidissima follia, il jazz e la musica contemporanea avrebbero perso una parte importante della propria storia.