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 2018  aprile 07 Sabato calendario

I soci si conteranno anche sul prezzo della rete in rame

ROMA L’operazione Cdp in Telecom ha tanti, forse troppi, padri. Dal presidente di Open Fiber, Franco Bassanini, che un mese fa, alla comparsa del fondo Elliott, bussò di nuovo alle porte del governo proponendo l’ingresso della Cassa tra i soci, fino agli stessi vertici della Cdp Costamagna – Gallia, al presidente delle Fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, e alla troika governativa Gentiloni-Padoan-Calenda, che a cavallo di Pasqua hanno fatto partire il blitz. E anche Lega e M5S, alfieri di nuove pratiche stataliste, sono stati affettuosi padrini. Ma di fronte a questa affollata platea genitoriale, resta da vedere a chi assomiglierà di più una nuova Telecom e quali saranno le reazioni, del mercato in primo luogo, al suo futuro sviluppo.
La Telecom che ha in mente l’azionista pubblico è infatti assai dimagrita rispetto alle dimensioni attuali. Il governo uscente vuole scorporare la rete Telecom su cui viaggiano voce e dati, per quotarla e proseguire poi con una fusione tra la nuova società della rete e Open Fiber, ossia la rete tutta in fibra che Enel e Cdp hanno cominciato a mettere in piedi due anni fa proprio in concorrenza a Telecom.
Per fare un paragone semplice è come se la rete in rame Telecom fosse una strada statale su cui le auto possono viaggiare al massimo a 90 km orari. Ma i mezzi che corrono su queste strade sono sempre più potenti e sempre più grandi e mentre Telecom sta allargando progressivamente la sua statale per trasformarla in un’autostrada e accogliere il traffico aumentato, proprio accanto alla vecchia strada Open Fiber sta costruendo un’altra nuova autostrada con limiti di velocità ben più alti e corsie larghissime. Logica vuole che le infrastrutture, siano reti o autostrade, non si duplichino; è per questo che avrebbe senso unificare le due reti in un solo operatore nazionale quotato, come Terna o Snam rete gas.
Il problema è allora nel valore da riconoscere alla rete in rame di Telecom. Quando nel 2013 la Telecom guidata allora da Franco Bernabè trattò con la Cassa depositi e prestiti tutto si incagliò proprio sul prezzo: la società ha in carico la rete a circa 14 miliardi di euro, ma Deutsche Bank, advisor della Cassa, sostenne che già una valutazione di 12 miliardi era eccessiva per una rete obsoleta e che necessitava di molta manutenzione. Cinque anni dopo, però, lo scenario potrebbe essere almeno in parte cambiato: proprio la possibilità di far viaggiare molta più “merce” digitale sulla rete unica e quindi di far aumentare i rendimenti per chi la possiede, potrebbe consentire una valutazione della rete in rame – da parte del mercato, in caso di una quotazione – che superi quei 14 miliardi a cui Telecom ha fissato il valore dell’infrastruttura. È qui che si dovranno chiarire le intenzioni di azionisti come Cdp, Elliott e Vivendi. Il fondo attivista Usa pare oggi in sintonia con la Cassa, visto che anch’esso propone lo scorporo della rete e la quotazione. È difficile immaginare una coincidenza di interessi tra i due soggetti, ma in effetti nessuno dei due pare un investitore stabile in Telecom: Elliott uscirà appena vedrà il titolo salire, la Cdp – in caso di scorporo – vorrà mantenere la presenza nella società della rete e non necessariamente in quella telefonica. Vivendi ha avviato obtorto collo un processo di scorporo societario della rete, ma per ora non pensa a cederne il controllo. La mossa di Cdp potrebbe convincerla a cambiare strategia nel senso voluto dalla politica, anche se è difficile che i francesi trovino grande aperture di credito. Uno studio di Ubs diffuso ieri, poi, conferma i dubbi dei francesi: per Telecom la nascita di una rete unica «non sarebbe una fonte di creazione di valore a lungo termine, quanto una riduzione del danno».