la Repubblica, 8 aprile 2018
La chat segreta del Califfato. «Così mi hanno reclutato»
16 maggio del 2017. Mido è seduto davanti ai carabinieri del Reparto Anticrimine di Torino. È in carcere da un mese. E dopo 150 giorni verrà condannato per proselitismo a scopo di terrorismo. Il suo avvocato, Francesco Furnari, uno dei penalisti italiani che segue con maggiore attenzione i fatti legati al terrorismo islamico, lo ha convinto a spiegare. A spiegare cosa significhi quel “si è radicalizzato su Internet” troppe volte sentito, e spesso ridotto a rapida semplificazione, nelle indagini sui “soldati” dell’Isis.
«Ero entrato nella chat di Zello solo per curiosità», esordisce invece il marocchino, nel verbale di interrogatorio di cui Repubblica è in possesso. «Inizialmente mi ero iscritto al canale Radio Italia, dove si sentiva musica ed era molto frequentato da camionisti. Poi ho frequentato il canale denominato “Terroni contro polentoni”». Un giorno qualcuno gli manda il link di un filmato postato su Youtube, in cui in una casa famiglia del Califfato veniva dato da mangiare ai bambini. «Allora, sempre per curiosità, sono andato su Zello e ho cercato “Stato Islamico”: come risultato ho avuto una decina di canali. E sono entrato in uno di questi».
«Soffrivo di insonnia»
Fino a quell’esatto istante, Mouner El Aoual detto Mido, è un immigrato qualunque con un passato movimentato. Scappato dal Marocco, ha vissuto da randagio in Spagna, Francia, Slovenia, Austria. Infine l’Italia. «Ad Albenga in Liguria dormivo sotto un ponte e guadagnavo qualche soldo aiutando gli spacciatori di strada». Si sposta a Torino, passa le notti dormendo per terra fuori dalla moschea di via Piossasco. «È lì che ho conosciuto un italiano, Giuliano». Il ragazzo lo porta nella casa dove vive con la madre, vedova, e decidono di ospitarlo. Mido, però, è un drogato. «Fumavo hashish e marijuana sin da momento del risveglio».
La prova di fedeltà
Uno sbandato con problemi di droga, dunque. Che nel 2014 si iscrive al gruppo sbagliato su Zello. Il suo racconto, lo vedremo, fissa quelli che i reclutatori dell’Isis definiscono i quattro passi della fedeltà. Mido, quei reclutatori, dirà di non conoscerli. Di non averli mai visti di persona. “Loro”, li chiama nella sua confessione.
«Appena entrato nel canale mi hanno chiesto di recitare delle parole, era la regola: “Allah benedica Mohammed, il profeta, e sua moglie Aisha...”, è il giuramento tipico dei sunniti. Pronunciata la frase e accertatisi che non ero sciita, sono rimasto come ascoltatore per lungo tempo. Poi, siccome volevano un marocchino come amministratore, lo sono diventato. Il mio primo compito è stato di bloccare chi insultava la moglie del Profeta. Affermavo concetti che volevano sentire e rispondevo sì alle domande che richiedevano una forma di supporto allo Stato Islamico».
Più di mille “affidati”
Mido gode della fiducia di loro, i soggetti di cui l’Antiterrorismo italiana conosce solo il nickname e su cui adesso sta indagando anche l’Fbi americano perché potrebbero trattarsi di alte gerarchie dell’Isis. Uno di questi è “al muhajir”, l’emigrante. «È lui che mi ha convinto a diventare amministratore», spiega ai carabinieri Mido. Prima però ha dovuto superare come un esame: temevano fosse un infiltrato. E Mido non lo era. Anzi, dà subito l’impressione di essere uno sui cui contare. «Tra i collegati ci sono gli “affidati” e i “non affidati”: i primi hanno recitato il giuramento e possono parlare e ascoltare. I non affidati possono parlare solamente con noi amministratori».
A Mido, dopo un anno e mezzo, chiedono un impegno superiore. Il suo gancio “al Muhajir” pretende che lui rimanga sempre collegato a Zello, col nuovo incarico di trasferirvi da Telegram immagini e notizie su Iraq e Siria “filtrate” dalle piattaforme digitali del Califfato. «Lo sapevo che erano simpatizzanti dell’Isis, facevano propaganda per far partire la gente, ma in realtà non è mai partito nessuno. Due soltanto dopo gli attentati sono scomparsi e i loro amici hanno detto che erano stati arrestati. Ci dissero di non parlare più e negare che fosse stato un amministratore, posto che era stato arrestato dai servizi segreti di Hamas. Anch’io facevo discorsi simili con loro ma volevo solo fare il figo».
Il telegiornale della Jihad
Per fare il figo, però, Mido è costretto a mettere in piedi una sorta di notiziario quotidiano ad uso e consumo degli utenti della chat. «Un giorno, entrando nel canale, mi sono trovato abilitato a scrivere messaggio: questo rappresentava un innalzamento di livello. Dovevo acquisire notizie, copiarle e trasmetterle su Zello con un eventuale messaggio di accompagnamento di non più di 20-30 parole. Nel tardo pomeriggio facevo il sunto delle notizie che avevo condiviso: le prendevo dai due canali Telegram, Nashir e Amaaq. Sono consapevole ceh Amaaq è l’agenzia stampa dell’Isis. Ma io sono come loro: ripeto, ero “stracannato”, sono tatutato, non prego, bevo, non ho mai frequentato una moschea. Se loro l’avessero saputo, mi avrebbero cacciato».