la Repubblica, 8 aprile 2018
Pedofilia, arrestato in Vaticano il numero 3 della nunziatura Usa
CITTÀ DEL VATICANO Dal settembre dello scorso anno era il numero tre della nunziatura a Washington, da dove era stato richiamato in tutta fretta a Roma per evitare che l’Fbi procedesse con un mandato di arresto nei suoi confronti. Fino al 2015 aveva prestato servizio in segreteria di Stato come ufficiale della sezione per i rapporti con gli Stati. Da poche ore è detenuto in una cella della caserma della Gendarmeria vaticana, a disposizione dell’autorità giudiziaria dopo un’indagine interna per possesso di ingente materiale pedo- pornografico. Non è una personalità qualsiasi monsignor Carlo Alberto Capella, 52enne di origini emiliane, arrestato ieri mattina in Vaticano dalla stessa Gendarmeria su mandato del giudice istruttore del Tribunale della Santa Sede su proposta del promotore di giustizia.
Diplomatico ecclesiastico di rango, era salito di grado durante il pontificato di Benedetto XVI andando ad occupare una delle caselle più prestigiose della segreteria di Stato per poi, sotto Francesco, ottenere un’altra promozione importante, inviato nella delicata nunziatura americana. Se le accuse saranno confermate sarà la clamorosa evidenza, dopo la vicenda che coinvolse due anni fa il monsignore polacco Jozef Wesolowski, nunzio nella Repubblica domenicana morto per problemi cardiaci prima che iniziasse un processo per pedofilia a suo carico, di come una criminosa doppia vita non soltanto alberghi nella curia romana, ma sia presente anche nei posti di comando, dove una condotta morale ineccepibile dovrebbe essere requisito minimo.
La mossa della Santa Sede di arrestare Capella, dopo che dal settembre scorso già risiedeva in stato di restrizione in Vaticano presso il Collegio dei Penitenzieri, è arrivata a seguito delle ripetute proteste americane che in merito non ammettono deroghe. Il 21 giugno 2017, infatti, il Dipartimento degli Stati Uniti aveva notificato il possibile reato. Il monsignore italiano era destinatario di un ordine di arresto da parte delle autorità canadesi, nel quadro di un’inchiesta iniziata con una segnalazione del Centro nazionale di coordinamento contro lo sfruttamento dei bambini del Rcmp (la polizia canadese). La polizia di Windsor ( Ontario) aveva accusato Capella di possesso e distribuzione di materiale pedopornografico scaricato durante un soggiorno che il sacerdote fece in Canada tra il 24 e il 27 dicembre 2016. La diocesi di London, in Ontario, comunicò di aver ricevuto una richiesta di aiuto per l’indagine; assistenza che venne data, in relazione alle possibili violazioni della legge sulla pornografia infantile fatte da Capella usando un «indirizzo di computer in una chiesa locale».
Da subito la Chiesa americana prese le distanze dal comportamento del diplomatico vaticano: «È una questione grave. Speriamo che la Santa Sede fornisca maggiori dettagli», aveva auspicato al momento della denuncia il capo della Conferenza episcopale statunitense, il cardinale Daniel DiNardo. Oltretevere, tuttavia, non tutti sembrano dimostrare di avere la percezione della gravità di certi comportamenti. Non a caso, proprio per resistenze interne alla pulizia, tre vittime della pedofilia da parte del clero si sono dimesse negli anni scorsi dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Mentre nel dicembre dello scorso anno, senza ascoltare le proteste delle stesse vittime, il Vaticano ha deciso di seppellire nella basilica di Santa Maria Maggiore il cardinale Bernard Law, l’ex arcivescovo americano che si dimise dopo l’accusa di aver coperto i preti pedofili di Boston, caso portato alla luce dal team investigativo Spotlight del Boston Globe.