la Repubblica, 8 aprile 2018
I giovani e la battaglia dei ciclostili contro l’Europa cupa di Orbán
Janos László, dissidente sotto la dittatura comunista, fino all’89 stampava e diffondeva il samizdat (stampa clandestina) ovunque nel Paese. Ha ricominciato a farlo, con un team di giovani: il samizdat è rinato per informare la società civile, la gente, nell’Ungheria che oggi decide col voto se e quale terzo mandato dare al premier Viktor Orbán.
Viaggiano attraverso l’Ungheria fiorita della tarda primavera in città e piccoli centri, con auto, intercity o treni locali. Portano decine di migliaia di esemplari di bollettini, diffondono l’informazione che i media controllati quasi tutti dalla maggioranza e dagli oligarchi suoi amici tacciono. Ecco parte dell’atmosfera, in queste elezioni decisive per il confronto tra sovranisti ed europeisti nell’Unione.
«Quando cadde la dittatura comunista non lo avrei mai immaginato: il samizdat è tornato indispensabile», dice Janos László. Lotta difficile, la sua e del suo team di giovani, contro gli atouts della maggioranza. Crescita solida, occupazione al massimo, conti pubblici in ordine. Eppure il potere è nervoso. È una partita aperta quella che si svolge nel cuore dell’Europa di mezzo. I sondaggi assegnano alla Fidesz di Orbán una sicura maggioranza assoluta, ma non di due terzi necessaria per continuare a costruire la sua “democrazia illiberale”. Ma quasi metà degli interrogati non rispondono. I giovani del samizdat e i loro padri e nonni percorrono tutto il Paese.
Incontrano i manifesti della maggioranza, «Con noi l’Ungheria è al primo posto», oppure «tutti gli altri sono al soldo di Soros». Ma anche tantissimi poster di Jobbik, l´ultradestra di Gábor Vóna e Marton Gyöngyösi. Non attaccano piú ebrei e rom, bensí corruzione e ingiustizia sociale. Come i samizdat risorti. «La nostra svolta moderata è autentica, e porta frutti», mi dice Márton Gyöngyösi. «Col governo-piovra regna la corruzione ed è tornata la paura, e i giovani piú capaci per costruirsi una vita degna devono andare a Berlino o a Londra, sono stanchi del premier». Toni nuovi, inimmaginabili fino a ieri. «Le opposizioni devono decidersi in nome della patria, certo non faremo accordi con i vecchi corrotti dirigenti socialisti, ma tra elettori e militanti socialisti il mood può cambiare».
Janos László e i suoi giovani viaggiano, sui veloci intercity o sui verdi treni regionali.
Carichi di migliaia di copie di samizdat. Temi immediati: «Non ne possiamo più di attacchi alla Ue in nome del no ai migranti e di teorie di complotti ebraici di Soros, dobbiamo spiegarlo a chi lontano dalla capitale non ha notizie». Umori incerti in Ungheria: boom economico, ceto medio in crescita, appoggio massiccio dell’industria dell’auto tedesca, galvanizza a favore del governo. Ma le accuse di corruzione pesano. «E allora informiamo la provincia, dove le principali 18 testate sono passate in mano agli oligarchi», dicono i giovani del samizdat.
Orbàn ostenta tranquillità apparente, commenta un diplomatico occidentale: crescita più forte dell’opposizione, slogan antimigranti lo aiutano. Ma mai prima d’ora l’esito è stato cosí incerto. Cosí oggi l’Ungheria va a votare tesa e divisa, tra voglia d’Europa, no alla corruzione e spinta forte a non perdere la fierezza nazionale ritrovata.