Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  aprile 08 Domenica calendario

Il ritorno all’ossessione della «diversità antropologica»

Siamo diversi. Antropologicamente diversi. Geneticamente diversi. Strutturalmente diversi. Cronaca di due giorni fa. Danilo Toninelli, capogruppo al Senato dei 5 Stelle, afferma a Porta a porta che l’alleanza con Forza Italia è impossibile «perché siamo geneticamente diversi, abbiamo altri geni rispetto a Berlusconi e ai suoi». Il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, non perde l’occasione di restituire il colpo chiedendosi «che “razza” di cretino è questo Toninelli che si crede “geneticamente superiore” a Silvio Berlusconi e a tutti noi».
Dimenticando che si pesca tutti nello stesso elettorato sempre più mobile, proprio perché realmente «diverso» nelle sue innumerevoli declinazioni: l’ipotetica Terza Repubblica del 2018 mostra meccanismi antichi. Tra il giugno 1946 e il gennaio 1948 nella Costituente si litiga duramente, ma nessuno si percepisce «diverso». Poi ecco la «diversità» del Pci proclamata da Enrico Berlinguer sulla questione morale, nel luglio 1981: dichiarazione di una alterità strutturale rispetto a una politica «piena di ladri, corrotti e concussori». Berlinguer ignora che, nei decenni successivi, molti scandali avrebbero travolto esponenti del mondo post 
Pci. Nel gennaio 1994 tocca a Silvio Berlusconi promettere «una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi», e anche qui non era all’orizzonte il ricorso a tanti volti assai antichi già in circolazione. Sempre Berlusconi, nel 2003 parla di giudici «antropologicamente diversi dalla razza umana», alzando il tiro ben oltre la politica. Nell’ultima stagione il richiamo alla «diversità» è diventato insistente. Nell’ottobre 2014 Massimo Cacciari diagnostica l’esistenza di «una difformità antropologica» tra le due principali componenti del Pd. Puntualissima profezia della scissione. La questione cara a Claude Levi Strauss torna nel luglio 2017 quando Tomaso Montanari, storico e critico d’arte, da presidente di Libertà e Giustizia indica così la differenza col Pd: «Con loro non c’è solo un disparere politico ma direi una diversità antropologica sul come intendere la politica, cioè sulla presa del potere da parte di una cerchia di interessi». Non siamo lontanissimi dalle dichiarazioni del futuro presidente della Camera, Roberto Fico, M5S, 24 gennaio 2018: «Vi garantisco che mai noi saremo alleati con la Lega anche dopo il voto: siamo geneticamente diversi». Poi la questione ha assunto sfumature ben diverse. Ma il punto non cambia: chi è «diverso» da chi? E rispetto, poi, a quale «diverso elettorato» mai individuabile e visibile?