6 aprile 2018
APPUNTI PER GAZZETTA - FINE DEL PRIMO GIRO DI CONSULTAZIONIREPUBBLICA.ITROMA - "Il centrodestra vada unito al Colle"
APPUNTI PER GAZZETTA - FINE DEL PRIMO GIRO DI CONSULTAZIONI
REPUBBLICA.IT
ROMA - "Il centrodestra vada unito al Colle". Matteo Salvini lancia la proposta in vista del secondo round di consultazioni con il presidente della Repubblica. "Ringrazio Salvini per aver accolto la mia idea", afferma la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che rivendica di averlo proposto per prima. Silvio Berlusconi prima si prende una pausa per "riflettere". Poi scioglie la riserva e si allinea alle posizioni degli alleati: "Alle prossime consultazioni - afferma in una nota il leader di Forza Italia - il centrodestra si presenterà unito con Salvini, Meloni e Berlusconi". Ma filtra l’irritazione dei 5Stelle: "Salvini deve scegliere tra il
cambiamento e il riportare indietro l’Italia con Berlusconi. E’ questo il commento che filtra dai vertici M5S sulla decisione - accolta da Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi - del leader della Lega di andare al Colle come unica delegazione del centrodestra. Una mossa, si spiega dai vertici del Movimento, con cui oggi Salvini ha messo se stesso e tutto il centrodestra all’angolo".
• SALVINI PROVA A RICOMPATTARE IL CENTRODESTRA
Salvini prova a minimizzare le divisioni emerse nel centrodestra durante i colloqui con Sergio Mattarella. Ieri infatti il capogruppo della Lega alla Camera, Giancarlo Giorgetti, ha criticato Berlusconi e la sua chiusura a un’alleanza con i Cinque Stelle, confermando di fatto la volontà di Salvini di creare un asse con Luigi Di Maio. Oggi, però, il segretario del Carroccio prova a ricomporre la frattura: "L’unico governo possibile è quello del centrodestra unito insieme al Movimento Cinque Stelle".
Insomma, un messaggio a Di Maio: non provi a dividere la Lega da Forza Italia, è il ragionamento. E così arriva l’offerta a Berlusconi e Meloni per il secondo giro di consultazioni: "Chiederò loro di andare insieme al Colle".
Consultazioni, due giorni in due minuti Condividi • IL FORZISTA PIÚ VICINO A SALVINI APRE AL M5S
Salvini, dunque, insiste sull’asse con i grillini e prova a "imbrigliare" il malcontento di Berlusconi che ieri, durante le consultazioni, ha duramente attaccato i 5Stelle. Il forzista più vicino al leader del Carroccio, il governatore ligure Giovanni Toti, intanto apre a un rapporto con Di Maio. "Votare adesso sarebbe scellerato - dice intervistato a Circo Massimo, programma condotto da Massimo Giannini su Radio Capital - credo che in qualche modo si dovrà fare un governo che magari duri un anno o due, per sterilizzare anche le clausole di salvaguardia". Molto più improbabile, invece, la prospettiva di "un governo politico che duri cinque anni".
Secondo Toti, "con la buona volontà è possibile trovare un programma minimo di governo tra centrodestra e M5s". In tal senso, il dialogo che si è instaurato per la scelta dei presidenti delle Camere "è stato una prova che induce un po’ di ottimismo", anche se non si sa "quanto possa durare".
rep Approfondimento Passo avanti di Salvini-Di Maio. Il centrodestra ora si spacca di ANNALISA CUZZOCREA e CARMELO LOPAPA • TOTI: "NO A VETI DEI GRILLINI E NO A CONTROVETI CONTRO I 5 STELLE"
Toti inoltre nega che Berlusconi abbia posto un controveto all’accordo con i grillini, contraddetto poi dall’apertura di Salvini: "Nel dire ’non voglio un governo fatto di invidia sociale, odio e pauperismo’ - afferma il governatore della Liguria - il presidente Berlusconi ha messo un punto sul programma, su cui credo che nessuno nel centrodestra possa dissentire".
Le parole di Berlusconi "erano certamente un riferimento ai Cinque Stelle, ma non nel senso di non voler collaborare dal punto di vista numerico o programmatico", continua Toti. Secondo il forzista, il leader azzurro ha voluto soltanto mettere in chiaro che qualsiasi dialogo dovrà partire dall’incarico a Salvini, dal momento che è il centrodestra ad aver ottenuto la maggioranza: "I 5 stelle, se vogliono partecipare allo sforzo, dovranno in qualche modo adeguarsi".
Teorico del partito unico del centrodestra, per Toti l’accordo fra Salvini e Berlusconi non salterà: "Io credo che regga per i reciproci interessi - spiega - e perché gli elettori hanno votato un mondo di coalizione. Non credo che sia interesse di nessuno dividersi". E insiste su un punto che gli sta a cuore: "Parlo di partito unico da tanto tempo, perché penso che con un M5s al 33% il centrodestra si debba strutturare. Ma il partito unico deve essere una scelta del popolo, senza predellini e iniziative personali".
Governo, Toti: "Programma minimo centrodestra-M5S possibile e necessità dolorosa" Condividi Dello stesso avviso anche il governatore del Veneto, Luca Zaia: "Chi pensa di rompere la coalizione - afferma a margine di un incontro a Venezia con la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati - si sbaglia di grosso. Noi confermiamo la nostra determinazione nel voler andare a governare, e speriamo che l’incarico venga dato a Matteo Salvini". Secondo il governatore, in questa fase in cui non c’è una maggioranza netta in Parlamento "tutti hanno bisogno di tutti". Ma allo stesso tempo, "nessuno deve chiedere passi indietro" perché i veti "non portano da nessuna parte".
CORRIERE DELLA SERA
Sì al dialogo con i Cinque Stelle («Chi dice di no sbaglia»). No ai veti. Dopo il primo giro di consultazioni - concluse con un nulla di fatto - Matteo Salvini ribadisce che un governo è possibile solo con «un centrodestra unito con il M5S». E per questo il leader della Lega anticipa che chiederà a Berlusconi e a Meloni di andare al Quirinale insieme «per avere un’unica voce, per partire dal nostro programma, dal voto degli elettori». Il Cav fa in un primo tempo ha fatto trapelare che ci avrebbe «riflettuto nei prossimi giorni sulla proposta» di andare al Colle con la coalizione unita, per il secondo giro di consultazioni. Successivamente, in una nota, Berlusconi ha ufficializzato: «Alle prossime consultazioni il centrodestra si presenterà unito con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi». Una scelta, quella offerta da salvini e raccolta da Berlusconi, che rimette in discussione la posizione finora centrale di Luigi Di Maio con M5S.
Meloni: «Governo M5S-centrodestra possibile»
Anche Fratelli d’Italia accoglie positivamente la proposta del segretario della Lega, ricordando che è stata la stessa Giorgia Meloni a proporre, al termine del suo colloquio con Sergio Mattarella, mercoledì scorso, che il centrodestra si presenti con delegazione congiunta . «Basta con i veti. Bisogna dialogare con i Cinque Stelle e chi dice di no sbaglia», aveva detto poco prima Salvini al Tg2. «Un governo centrodestra-Cinque Stelle è possibile, non vedo l’ora di cominciare a lavorare. Con i veti, con i no, con le antipatie non si va lontano, c’è un Paese che deve ripartire. Noi non facciamo capricci, vogliamo solo passare ai fatti». Salvini puntualizza poi: «Non con il Pd» e «piuttosto che inciuci o governicchi, la parola torni agli elettori».
Toti: «Nessuna fronda»
Immutata anche la posizione dei 5 Stelle, con Luigi Di Maio che continua a chiudere a Forza Italia, proponendo un contratto con Lega o Pd. Dopo il gelo calato su Forza Italia dopo le parole del M5S, sono arrivate le repliche: il deputato Francesco Paolo Sisto critica la «mancanza di lealtà politica» del Movimento: «Una coalizione non è fatta di "vincoli" ma della condivisione di un progetto e di un percorso per il Paese», ha detto. Mentre Deborah Bergamini, responsabile Comunicazione del partito, intervenendo ai microfoni di Rai Radio 1 ha affermato che «per Forza Italia esiste la possibilità di costruire un governo che abbia una piattaforma concordata e metta in sicurezza i nostri conti, viste anche le scadenze a breve, come le clausole di salvaguardia, solo se non si fa prevalere la logica dei veti ma quella dell’interesse nazionale». Mentre a smorzare voci di divisioni interne il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti: «Nessuna fronda», dice, commentando le indiscrezioni che lo vorrebbero capo di una corrente pronta a sostenere dall’esterno un Governo Salvini-Di Maio.
Divisioni
In casa dem è Graziano Delrio a chiudere la porta in faccia a Di Maio: «Non abbiamo la stessa idea di Paese. Sarebbe trasformismo» dice, liquidando la proposta. Mentre il reggente, Maurizio Martina, aveva ribadito l’impossibilità di un confronto Pd-M5S, affidando a Twitter il suo pensiero: «Caro Luigi Di Maio, noi non ci prestiamo a questi giochetti. Chi tenta di dividere il Pd non ci riuscirà». «Leggo che il capogruppo al Senato del Movimento 5 Stelle ritiene il Pd “responsabile del fallimento delle politiche di questi anni”. È chiaro che queste parole dimostrano l’impossibilità di un confronto con noi».
«Renzi lasci lavorare Martina»
Ma il Pd è tutt’altro che unito, in questo momento. Gli umori traspaiono dalle parole del ministro della giustizia del governo uscente, Andrea Orlando, che parlando con i giornalisti manda a dire a Matteo Renzi di «lasciar lavorare Martina»: «Se ritiene che la colpa di questa sconfitta non sia la sua, che sia la mia o dei cambiamenti climatici, allora deve decidere di ritirare le proprie dimissioni e continuare a esercitare il mandato avuto dagli elettori. Se invece, come ha detto, si assume non dico tutta la responsabilità ma almeno una quota significativa, e ne trae come conseguenza quella di arrivare alle dimissioni, allora deve consentire a chi pro tempore ha avuto l’incarico di poterlo esercitare», ha affermato. Mentre Gianni Cuperlo, commentando a «Omnibus» su La7 l’incontro segreto di ieri tra Renzi e alcuni fedelissimi, come Boschi, Bonifazi e Delrio, senza il segretario Martina, mette in guardia dal rischio di «indebolire ulteriormente il partito», in un passaggio così delicato e «di non fare un servizio a quella persona che è Maurizio Martina, che si è assunto l’onere e la responsabilità di gestire questa transizione. Non possiamo trasmettere l’idea che ci siano due canali paralleli di direzione politica e di scelta».
TROCINO
ROMA — «Non siamo né di destra né di sinistra — dice Luigi Di Maio al termine delle consultazioni — e quindi possiamo interloquire con tutti». Ed è vero che il modulo di gioco del Movimento in questo momento è a tutto campo. Tra i due «forni», il più caldo è quello leghista, ma Di Maio prova a tener vivo anche quello del Pd. Al quale Di Maio lancia un messaggio nuovo, più aperto e inclusivo: «Siamo pronti a parlare con tutti dentro il Pd». Improvvisamente rispettoso delle dinamiche interne dei dem, Di Maio spiega: «Non ho mai chiesto una scissione interna, e se mi rivolgo al Pd, mi rivolgo a quel partito nella sua interezza». Dunque anche a Matteo Renzi. Il più ferocemente contrario a M5S.
shadow carousel Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni Quirinale, la seconda giornata di consultazioni PrevNextLe trattative con i dem
Parole non casuali. Che sono un messaggio rivolto al Quirinale, per rassicurare sulla sincerità dell’apertura al Pd, insieme alle aperture sui temi internazionali, in controtendenza rispetto a Salvini. Ma sono un messaggio anche per Maurizio Martina. Con il quale si è sentito più volte di recente. Anche martedì, quando si è giocato il Pd come interlocutore «privilegiato» (salvo correggersi). Era seguita una nota di Martina, che respingeva al mittente le lusinghe: «Non ci stiamo al giochetto di dividerci». Nota che aveva fatto infuriare Di Maio: «Ma come, prima mi telefona e si dice possibilista, poi dice queste cose? Non può dire una cosa privatamente e un’altra pubblicamente». Ma Martina, anche per non perdere i voti di Renzi il 21 aprile, quando si deciderà il segretario, ieri sera ha fatto sapere di non volere incontrare Di Maio. Dai piani alti M5S non ci si scompone: «Con il Pd si sta muovendo qualcosa, Martina cambierà idea». Ed è quanto serve ai 5 Stelle, che hanno bisogno di tenere alimentato il fuoco dem, in attesa che arrivino le Regionali in Molise e Friuli Venezia-Giulia (29 aprile). A quel punto, Salvini proverà a passare all’incasso con quel che resta di Forza Italia, soprattutto se Massimiliano Fedriga avrà un buon risultato.
L’alternativa quirinalizia
Che i tempi non siano maturi lo ha spiegato Di Maio a Di Martedì: «Vedremo nelle prossime settimane». E lo ha ripetuto ieri al Quirinale: «Faccio gli auguri al Presidente per il lavoro che dovrà fare nelle prossime settimane». Un lapsus, subito corretto con «nei prossimi giorni». L’unica alternativa non è un esecutivo con il Pd, ma un governo ispirato dal Quirinale. Che duri pochi mesi, abbia un premier non sgradito ai 5 Stelle (per esempio, Ugo De Siervo) e ministri d’area. Un governo per fare poche cose, tra le quali la legge elettorale, per poi tornare al voto in autunno. Nel frattempo, però, c’è il secondo giro di consultazioni. Preceduto dal colloquio con Salvini, che si terrà il giorno prima della salita al Quirinale.
UGO MAGRI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Nulla è più riservato dei colloqui al Colle, su cui non fiata una mosca. Però se quella mosca potesse riferire ciò che ieri ha visto e udito, racconterebbe uno strano paradosso: a parte il Pd, cui piace mostrarsi del tutto indifferente, come se la cosa non lo riguardasse, tanto Di Maio quanto Salvini e Berlusconi sono stati concordi nel chiedere altro tempo. Hanno dato al Presidente la netta sensazione che ci siano lavori in corso, o perlomeno esistano delle trame da tessere nei prossimi giorni. È la ragione che ha spinto Sergio Mattarella ad accordare volentieri la pausa di «riflessione» (lessico che richiama la Prima Repubblica). Il capo politico dei Cinquestelle ha in programma colloqui all’inizio della prossima settimana, per cui il nuovo round di consultazioni non è previsto prima di giovedì 12 aprile. Ma l’aspetto curioso è un altro: le tre richieste di rinvio sono tutte finalizzate a obiettivi diversi. Ognuno spera di usare al meglio il tempo concesso per perseguire un proprio disegno.
L’altro aspetto interessante, che una mosca testimone avrebbe notato ieri, è la straordinaria somiglianza di propositi tra Berlusconi e Di Maio. Davanti a Mattarella, entrambi hanno dato la netta impressione di guardare al Pd. L’uno e l’altro cercano di guadagnare giorni o settimane in attesa che tra i «dem» maturi qualcosa, magari nell’assemblea convocata il 21 aprile. Inutile dire che i due coltivano speranze opposte. Il Cav si augura che i renziani vengano sconfitti e, per ripicca, decidano di appoggiare un governo di centrodestra, guidato però non da Salvini bensì ad esempio da Giancarlo Giorgetti, considerato a sinistra più potabile. Di Maio invece guarda al Pd in quanto spera di trasformarlo nell’altro «forno». Il panettiere Salvini è troppo caro, dunque i Cinquestelle vorrebbero bussare da un altro fornaio. A tale proposito, con una finezza che al Quirinale è stata apprezzata, Di Maio ha espresso uscendo l’intenzione di dialogare con l’intero Pd, senza più mettere veti su Renzi. Matteo viene ora individuato come partner possibile (se non ideale) sia da Silvio sia da Luigi. E già questa strana coincidenza fa sorridere. Ma non è l’unica, perché in presenza di Mattarella, come pure davanti alle telecamere, il leader di Forza Italia e quello grillino hanno sfoderato toni altamente responsabili in fatto di alleanze internazionali, di scelte Ue e di vincoli finanziari. Quasi indistinguibili a un orecchio poco attento. Laddove Salvini non ha esitato a sfruttare la tribuna quirinalizia per lanciare un duro attacco all’Europa, prendendosela con Merkel e Macron con accenti che piacerebbero all’amico Putin.
A proposito di Salvini: la solita mosca riferirebbe che Berlusconi non si è sprecato in elogi nei suoi confronti, e da Mattarella ha polemizzato duramente coi «populisti» in qualche caso senza chiarire con chi ce l’avesse esattamente, se con Di Maio oppure con l’alleato. Il quale a sua volta ha trasmesso la sensazione di chiedere tempo per consumare il «parricidio», far fuori Berlusconi e cercare coi Cinquestelle un accordo su cui corrono mille voci, perfino che sia già stato scritto e firmato (sebbene nulla di tutto ciò risulti sul Colle). Salvini si attende che Di Maio aspetti invano la svolta del Pd, e dunque alla fine del temporeggiamento generale il M5S accetti di accordarsi con la Lega, magari su un terzo nome diverso dal leader sovranista e da quello grillino. Uditi i colloqui di ieri, e dovendo scommettere un cent, alla fine la mosca punterebbe sul governo grillo-leghista. Salvo pentirsi perché siamo ancora in altissimo mare.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
JACOPO IACOBONI
Il Movimento è una macchina in leasing, la guida Luigi Di Maio, ma le chiavi sono nelle mani di un’altra persona, colui che detiene la presidenza della piattaforma online su cui gira tutta la vita di questa forza politica: i dati, gli iscritti, le votazioni online, i link ai social network, le candidature. Ecco, qual è la strategia dell’uomo che ha queste chiavi, Davide Casaleggio, in questa difficile crisi per formare una maggioranza?
Casaleggio jr ripete in questi giorni: «Il Movimento ormai è una forza di governo, e deve governare». È finito il tempo dell’opposizione. In questo c’è una differenza anche caratteriale con Beppe Grillo, che non s’è mai tanto posto il problema di andare al governo, mentre invece Davide marcia in sintonia con Di Maio. Tuttavia, mentre Di Maio gioca il tutto per tutta in una partita ormai solitaria, Davide ha un’altra strada davanti più che buona. Per capirlo dobbiamo seguire tre passaggi.
Il primo è una discussione, avvenuta molto di recente, tra Grillo, Casaleggio jr e Di Maio. Tema: il limite del doppio mandato, la regola fondativa del Movimento, voluta da Casaleggio sr e da Grillo, non amatissima dai leader parlamentari, più volte messa nel mirino (si arrivò anche a proporre di interpretare il vincolo del doppio mandato nel senso di dieci anni pieni nelle istituzioni). Bene, il confronto ha avuto questo esito: la regola del doppio mandato resiste. È stato Grillo in persona a decidere che «questa cosa non si tocca, non possiamo cambiare anche questo». A Casaleggio la cosa torna utile, gli consente di tenere a bada un’eccessiva presa di potere di Di Maio. E qui veniamo al secondo punto.
L’irrigidimento di Di Maio in questi ultimi giorni - lui come unico premier possibile - è stato in parte conseguenza diretta della conferma del limite del doppio mandato: Di Maio sa di doversi giocare tutte le sue carte adesso. Anche se ieri, all’uscita dal colloquio con Sergio Mattarella, è parso più flessibile; magari solo per opportunità.
Qui arriviamo al terzo tassello del puzzle: come si muove Casaleggio jr in tutto questo? Attende, senza slanci, molto concreto. Sostiene Di Maio; ma se la situazione si dovesse piantare sul suo nome, la sua consonanza con la Lega ha fatto enormi passi avanti, e lui potrebbe accettare «un premier terzo», indicato da M5S-Lega, ne sono convinti anche dentro il M5S, al di là delle smentite di facciata. Ciò che è solido è l’intesa sua con la Lega. Già c’era un’affinità, storica, tra il Carroccio e Casaleggio sr: Roberto diceva ai suoi dipendenti: «Sapete perché la Lega ebbe il successo che ebbe? Perché era nei bar, all’inizio c’erano quattro gatti a sentire Bossi. Ve lo dico perché uno di questi quattro gatti ero io». Ora la sintonia è evidente anche nei temi.
Casaleggio jr fa in giro discorsi sovranisti in economia: in un forum recente a porte chiuse ha proposto in Italia, sul modello francese, la creazione di una Banca Pubblica di Investimento che faccia ordine tra tutte le finanziarie statali locali: «Il nostro Paese possiede già tutte le soluzioni al problema del finanziamento dell’innovazione. Ma il coinvolgimento di attori esteri come advisor, il finanziamento statale di soggetti esteri e gli investimenti all’estero e non in Italia da parte dei fondi istituzionali italiani sono sicuramente parte di questo problema». Musica per Salvini. In più, gira il mondo presentando la piattaforma Rousseau nell’ipotesi che possa diventare commercialmente appetibile anche in altri Paesi, per altri partiti.
Rivelatrice, in questo scenario, l’uscita dello storico Aldo Giannuli, che ha abbandonato il M5S. Giannuli - che era amico di Roberto, ed era davvero interno ai meccanismi dell’azienda, e anche di recente pranzava con Davide - ha osservato: «Il M5s delle origini si diceva “né di destra né di sinistra”, ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra, oggi quella ambiguità è sciolta e, pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra». Dove, al di là della ricostruzione opinabile, ciò che conta è la sicurezza con cui Giannuli, che sa le cose, ci sta dicendo, assertivamente, che il M5S è andato a destra. Destra significa, qui: intesa di fondo con la Lega.
L’uomo che più sta tessendo i contatti tra mondo leghista e il mondo milanese del M5S è Giancarlo Giorgetti. L’opzione di una premiership affidata a un terzo rispetto ai due leader di partito, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, in un governo della Lega con i 5 Stelle, «può avere un senso», ha spiegato; a condizione che «la persona che guida il governo abbia una legittimazione da parte degli italiani: non può essere un tecnico o un professore». Non pare possa essere Franco Bernabè, pure stimatissimo, in Casaleggio.