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 2018  aprile 06 Venerdì calendario

L’umile palma di San Pietro fortuna dei giardini romantici

Oggi le provocazioni giardiniere non piacciono più, anche quando sono fatte con un po’ di garbata ironia, con il giusto senso della misura e soprattutto molta cognizione di causa. In tempi di iper-celebrazione della flora autoctona (condivisibile in certi casi ma senza fanatismi), il botanically correct non vede di buon occhio i ghiribizzi esotici o presunti tali. Le palme per esempio, almeno qui al nord, hanno ormai molti detrattori, anche quelle più resistenti ai nostri freddi e addirittura il Chamaerops humilis, la famosa palma di San Pietro, che nonostante le sue sembianze ultra-equatoriali è l’unica specie spontanea nel nostro paese. E dire che insieme alla sua ancora più rustica collega, l’onnipresente Trachycarpus fortunei, la cosiddetta palma del Giappone, ha fatto la fortuna dei giardini tardo-romantici di tutta la penisola: di quelli delle riviere e dei laghi, ma non soltanto.
Anche al Nord
Anche qui in Piemonte, proprio come capita al Bramafam, veniva coltivata in un grande mastello e ricoverata in serra fredda nei mesi più critici: da me in verità, al riparo della facciata della casa, resiste fuori benissimo tutto l’inverno ed esposta a nord. Anche lei cavalca i noti vantaggi dell’Effetto Serra... Basso e con cespi larghi ed esuberanti il Chamaerops, alto e stretto stretto il trachicarpo, erano due divertenti Stanlio e Olio di una botanica ancora casereccia e non troppo noiosamente rigorosa. I grandi ciuffi di foglioni a ventaglio e sempreverdi creavano un contrasto arruffato ed attraente ed erano un vero cache-misere utilissimo per coprire e nascondere le brutture che circondavano (e sempre più circondano) i giardini. D’altra parte un Chamaerops in giardino è quasi per sempre, come anche un trachicarpo: sono infatti piante estremamente prolifiche e i loro datteri germinano senza pietà...
Oggi la moda è cambiata e solo i vivai più démodé ancora li propongono, ma non per questo la ricerca si è fermata: per esempio da un po’ di anni si è diffuso un clone di Chamaerops humilis particolarmente bello, con foglie meno acuminate e portamento compatto, che pare sia stato rinvenuto sulle pendici dell’Etna. Giustamente porta il nome di C. h. Vulcano. D’altronde la palma di San Pietro (pare così chiamata perché assai diffusa sull’omonima isola sarda) è una pianta variabilissima e il nostro Centro-Sud è ricco di endemismi ancora poco studiati e proposti. Ricordo bene i rari esemplari che crescono selvaggi sull’Argentario o quelli in un isolotto disabitato nelle Eolie, abbarbicati alle falesie. Evidentemente gli stormi di passaggio avevano dato il loro contributo.
Oggi è abituale per la Chamaerops crescere nei posti più ostili, su rupi e pareti rocciose aride ed esposte ai venti: credo si tratti di vere e proprie roccaforti conquistate di decenni in decenni, lontano dagli appetiti degli uomini che con le loro foglie erano soliti fare stuoie e panieri e che ne cucinavano i germogli secondo un’usanza già dell’antica Roma. D’altronde in questo loro esilio proteggono scogliere e falesie dalle continue erosioni e sono una delle prime piante a ricacciare dopo gli ahimè sempre più frequenti incendi estivi.
La più famosa
Insomma il loro stile di vita è ben più rude di quello a cui è ormai abituata la Chamaerops humilis più celebre di tutte, quella che cresce da più di quattro secoli all’Orto Botanico di Padova, con il record della pianta più antica del giardino botanico più antico al mondo. Protetta dalla apposita e famosa serra ottagonale, oggi ricostruita, è la palma che incantò Goethe durante il suo viaggio in Italia e che ispirò la sua celebre teoria tra l’evoluzionistico e l’immanente descritta in La Metamorfosi delle Piante. A colpirlo fu l’evidente polimorfismo delle foglie, in basso semplici e quasi unite e che si sfrangiano man mano risalendo per i suoi dieci metri d’altezza.
Non sferzata dai venti e dai freddi la palma, che normalmente avrebbe un portamento basso e cespuglioso con stipiti che invecchiando si biforcano e moltissimi polloni basali, è diventata nei secoli un vero e proprio albero, tanto che in passato si era addirittura ipotizzata una varietà di C. h. Arborescens. Facilissima da coltivare, resistente al secco e al sole più spietato, suscettibile sì al maledetto punteruolo rosso ma per ora molto poco toccata, ne esiste anche una varietà marocchina (C. h. Argentea) con bellissime foglie tra il verde e il blu. Il nome della Chamaerops humilis già la dice lunga: il genere rimanda nell’etimologia greca alle altezze modeste, con fronde che quasi rasentano terra. La specie poi è un esplicito voto di povertà...