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 2018  aprile 06 Venerdì calendario

Brutto ma bello, lo stile si evolve

PARIGIIl brutto è infinito, sosteneva Umberto Eco. E non aveva ancora visto i marsupi griffati Vuitton né le crocs compensate di Balenciaga. La cosa è ormai indiscutibile nonostante la proverbiale discutibilità dei gusti: la moda non soltanto ha sdoganato il brutto, ma lo ama, lo sublima. E lo vende, anche molto caro. Il deforme, l’informe, il troppo grande o troppo corto, lo storto e il pasticciato piacciono da morire. Perfino le modelle si possono rilassare: capelli grassi, occhialoni, niente trucco e peli, sotto le ascelle prima (perfino Julia Roberts) adesso anche sulle gambe (vedi, per tutte, la campagna pubblicitaria Adidas).
D’altronde quale canone poteva resistere ai confini diluiti dei social e ai filtri di Instagram? L’anti-fashion, come la definiscono alcuni, o la ugly fashion come sostengono altri, ovvero la moda brutta, abominevole e grottesca, insomma meravigliosa perché libera dal bello che le va stretto, si è imposta sulle passerelle delle ultime stagioni.
IL MÉLANGE
Su tutti, svetta per magnifica bruttezza l’estro di Alessandro Michele, e le sue creazioni allegramente fuori dai codici, con un mélange grottesco di tessuti colori disegni proporzioni e materiali degno di un Arcimboldo. «I social hanno azzerato i codici», conferma Sandrine Tonye del sito Hypebeast France, specializzato nella cultura urbana. Tutto si mescola, e la mescolanza, sopporta molto male le proporzioni canoniche. Tradotto in abiti e accessori: i tacchi si fanno alti, altissimi e alla fine si compensano, magari di gomma e magari attaccati a ciabatte senza forma, come, appunto, le famigerate crocs di Balenciaga andate a ruba quanto le sneakers Triple S, definite da qualche critico le Elephant man delle scarpe, ormai introvabili e considerate inarrivabili.
Si dirà: è il comfort che vince l’estetica. Spiegazione insufficiente: la storia della moda è piena di impeccabili creazioni comodamente indossabili. Perfino Demna Gvasalia, l’ex underground ora direttore creativo di Balenciaga, fa fatica a non arrampicarsi sugli specchi quando si tratta di analizzare perché lo fa, perché ci ripropone e ci costringe facilmente ad amare borsoni Ikea e giacconi da sci d’antan. «Trovo la definizione di brutto molto interessante ha detto Gvasalia a Vogue Trovo anche interessante individuare il limite in cui il brutto diventa bello e il bello diventa brutto. Penso che faccia parte dei principi fondamentali della moda e mi piace che la gente trovi brutti i miei vestiti. Per me è un complimento».
L’EMBLEMA
Il brutto e i suoi possibili corollari, il cattivo gusto e il kitsch, diventano un segno di rivolta, un elemento dinamico, un incredibile Hulk che manda in brandelli norme e precetti vestimentari. Arma letale di questa guerra al bon ton: il marsupio. Alla metà degli anni Novanta la condanna sembrava definitiva, l’accessorio pareva per sempre accatastato come estraneo alla civiltà. Erano i tempi in cui ci si accaniva contro l’emblema di tanto scempio: il marsupio Lacoste. Tutto dimenticato, tutto perdonato. Il marsupio è diventato il segno distintivo per eccellenza della ugly fashion. Nessun azzardo fantascientifico avrebbe mai potuto prevedere che, dopo nemmeno due generazioni, Vuitton, Gucci, Dior e compagnia lo avrebbero resuscitato. 
IL RITORNO
Il catalogo dell’anti-moda è, com’è proprio del brutto, infinito: ci sono jeans con toppe di plastica trasparente come da Topshop o Levi’s con la lampo posteriore, camicie di raso rosa (rigorosamente bisex), piumoni over-oversize da portare con le ballerine. Segno dell’anti-moda anche il ritorno in gloria del tartan Burberry, in particolare del berretto con visiera che la marca aveva rinnegato da un paio di decenni perché diventato parte dell’uniforme degli Hooligans. Anche qui tutto finito, basta con il perbenismo: lo scozzese della casa è tornato in vetrina.
Non mancano naturalmente le critiche, con i sociologi che sentono puzza di inganno e marketing nei confronti di un cattivo gusto confezionato ad arte per dare, a chi può permetterselo, l’impressione di vivere nel mondo reale. Le collezioni brutte in ogni modo piacciono tantissimo, e la stravaganza dell’ultima sfilata Gucci è stata da standing ovation. La sociologa Claudine Sagaert rassicura chi teme di sembrare ridicolo dando retta all’anti-moda: «Qualsiasi creazione originale porta in sé una certa bruttezza, in quanto realizza qualcosa di nuovo. Non è forse questo l’essenza del creare?».