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 2018  aprile 06 Venerdì calendario

Le tante vite di Noah nella Davis degli azzurri

Era diverso, negli Anni 80. Si stava insieme, ci si facevano confidenze, noi aficionados e i giocatori. Con Noah fu, ed è ancora, amicizia vera. Mi disse una volta, quando già aveva vinto nel 1983 il Roland Garros: «Quando vinco sono francese, quando perdo sono un negro, come mio papà prima di diventare una star del calcio». Eravamo in un ristorante di Melbourne, con una troupe di Rete 4. «Non vorrei che l’intervista fosse ripresa in Francia» aggiunse dopo aver pensato. «È bella, ma se vuoi la togliamo» dissi, rivolto anche al regista.

«Togliamola» consentì l’amico.
E quella chicca preoccupante fu tolta. Mi domando se accadesse oggi.
Alla fine della sua carriera gli domandai che cosa avrebbe fatto nella vita. Forse il coach, che non si chiamava ancora così. «Non so» rispose. «Forse affitto uno yacht, e faccio il giro del mondo. Vuoi venire?». Il mio buon direttore non fu d’accordo, ma la proposta mi rimase cara. Ho davanti a me, io che smemoro, un libro che Noah scrisse l’anno dopo la vittoria contro Wilander, aggredito e borseggiato sul suo colpo ricchissimo, il passante di rovescio. «T’as pas deux balles?» «Non hai due palle?».
A proposito di negritudine racconta che suo nonno, Noah Tsogo, fondò il villaggio di Etoudi. Costruendolo con mani simili a quelle con cui lui giocava le volée, ed ebbe 70 mogli. Gli chiesi se volesse imitarlo, gran seduttore che era. Scosse il capo. Si fermò a due, ma con una sfornò un figlio che come il padre calciatore e come lui con la racchetta, si affermò nel basket americano.
Come si era affermata la mamma francese, «bianca come il latte» che faceva parte della Nazionale del Camerun.
Ha sempre avuto sui tennisti, e quindi su se stesso, opinioni non conformiste. «Si delira sui tennisti per renderli deliranti.
Mentre si può essere idioti e riuscire nel tennis». Secondo il settimanale Paris Match era diventato l’uomo più conosciuto della Francia intera.
Improvvisamente era divenuto il più popolare cantautore. In questo suo nuovo ruolo si era dimostrato, come da tennista, un diverso. Capace di una canzone estremamente negativa nei riguardi della Le Pen. E viene il tennis. Dopo anni di ricordi dei Moschettieri, ormai scomparsi, vittoriosi dal ’27 al ’32, era arrivato solo il successo di Lione del ’91 sugli Usa. L’anno passato, divenuto capitano, Yannick è stato non dico determinante, ma molto utile, alla vittoria. Quest’anno, ha trovato il coraggio di non convocare gli apparentemente infortunati Monfils, Tsonga, Gasquet, puntando sui sani Chardy e Pouille. Avrà una volta di più ragione, come quasi sempre. Temo di sì, per i nostri tennisti.