la Repubblica, 6 aprile 2018
Burt Reynolds: «Ho detto no a 007 e Brando mi odiava ma sono io l’ultima star di Hollywood»
NEW YORK Big Burt. «È il nome che avrei voluto da bambino. Sono cresciuto in Florida, a Palm Beach County. Prima gli amici mi hanno affibbiato il nomignolo di Buddy. Quando ho cominciato a recitare sono diventato Buddy Reynolds – mi dicevo: perché no? Seguirò le orme di Buddy Rogers, Buddy Hackett… – poi sono corso dietro a mio padre, Burton Milo Reynolds Sr., detto Big Burt.
Altro che Big, restavo il Junior ùdi casa. Ho sempre guardato a mio padre come a un modello: poliziotto ed eroe di guerra.
Oggi, a 82 anni, non sono diventato poliziotto né eroe di guerra. Sono semplicemente l’ultima star di Hollywood».
Calzoni neri, maglietta blu, trench e sciarpa rossa. L’attore, regista, ex campione di football Burt Reynolds si racconta in una piccola sala del Lower East Side dove proiettano una copia restaurata di Un tranquillo weekend di paura, il cult di John Boorman. «Oggi sarebbe proibito girare un film così libero» dice. «Gli anni Settanta erano un Paradiso a Hollywood: sperimentavamo, non avevamo paura. Anche se la parte del fanatico Lewis Medlock ha seriamente rischiato di troncare la mia carriera», ricorda Reynolds appoggiato a un bastone, guanti neri e occhi nascosti dietro un paio d’occhiali rosati.
Qualche anno prima Sergio Corbucci lo avevo scelto in Navajo Joe («Terribile. Quel film lo hanno mostrato solo nelle carceri e sugli aerei, dove la gente non può scappare»), Quella sporca ultima meta di Robert Aldrich, Gator, la sua prima regia, Il bandito e la “Madama” («C’è un colpo favoloso. E alla fine altrettanto favoloso sarà il montepremi» recita a memoria la battuta).
La voce da sex symbol, le opinioni su Trump – «Un bravo ragazzo. Per fare affari con la Russia ed altri paesi, devi essere spietato» – e persino il baffo da pornoattore – il “pornstache” dell’estetica di Playboy – sono rimasti gli stessi. Solo il corpo lo sta tradendo: «Saranno tutti gli stunt che ho fatto in cinquant’anni. Quando al mattino non riesco ad alzarmi dal letto, maledico la mia fama da playboy». Due matrimoni: Judy Carne, due anni, Loni Anderson, cinque.
La nomination agli Oscar è arrivata nel ’98 per la parte del re del porno Jack Horner in Boogie Nights di Paul Thomas Anderson, un regista con cui ha “odiato” lavorare: «Mai visto Boogie Nights. Mi è bastato farlo». Sorride quando gli ricordiamo che il nome di battesimo di Quentin Tarantino viene dal “fabbro Quint” interpretato proprio da Reynolds nel western tv Gunsmoke. Passa in rassegna incontri e amicizie con le leggende di Hollywood, da Frank Sinatra a Cary Grant e Bette Davies, «la mia migliore amica», da Fred Astaire («Ho ballato con Fred ad una festa. Ha guidato lui») a Marilyn Monroe.
«Frequentavo la stessa classe di recitazione di Marilyn» continua. «Un giorno l’accompagnai all’Actors Studio e stette in silenzio per tutto il tragitto. A un certo punto le faccio: “Marilyn, perché la gente non ti salta addosso? Come fanno a non riconoscerti per strada?”. Lei sussurrò: “La vuoi vedere?” alludendo al personaggio che si era inventata. Spalle indietro, seni all’infuori, fianchi che somigliavano a un’orchestrina di Broadway. E nel giro di un isolato, quaranta sconosciuti tutti ai suoi piedi!».
In questi giorni, Reynolds gira gli Usa per promuovere un nuovo film, The Last Movie Star: «Una specie di memoir. Non mi vergogno di dire che ci sono ancora momenti in cui essere considerato una celebrità mi fa accapponare la pelle. Le cose, nella vita, non vanno mai come vuoi. Io non cercavo la patina, i riflettori; volevo fare il regista». E sull’industria ha le sue idee: «Vi sembra ci sia stato qualche progresso? Non arriveremo mai alla parità, non in questo secolo. E io che pensavo almeno di vedere più attori e registi afroamericani. In circolazione, invece, ci sono soltanto stronzi che parlano del prossimo film o della loro ultima fiamma».
Meglio guardare al passato.
Ma attenzione ai confronti: «Marlon Brando ha minacciato di abbandonare Il padrino se avessi preso parte al progetto. Sono felice che don Vito Corleone gli abbia dato notorietà. Lui non l’ha mai presa bene però».
Nessun rimorso, se non per quel “no” a James Bond: «Quando me l’hanno offerto ho pensato che non avrebbe avuto senso uno 007 interpretato da un americano. Mi pento di aver lasciato il posto a Sean Connery». E l’amore? Dopo un equivoco sull’attrice Sally Field («Mi sono innamorato di lei quando aveva 7 anni» ha detto al Today Show, intendendo 37), Burt punta alle dive del passato: «Una volta, una donna bellissima con il piede già su un taxi, mi guardò e mi chiese di darle io uno strappo a casa.
Indossava una camicetta trasparente. Incuriosito le domandai il nome. Lei, leggermente risentita: “Sono Greta Garbo”. Chiuse la portiera e se ne andò».