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 2018  aprile 06 Venerdì calendario

Dall’Ilva all’Alitalia lo Stato padroncino

ROMA Più che un revival dello “Stato padrone”, questo è il primo tempo dello “Stato padroncino”, azionista di minoranza di aziende che non è più in grado di comprare e che deve accontentarsi di condizionare.
Interventismo apparentemente soft nell’economia in settori considerati strategici: le telecomunicazioni, l’industria siderurgica, i collegamenti aerei.
Dopo l’ingresso della Cassa depositi e prestiti (controllata del ministero dell’Economia), con il 5 per cento, nel capitale di Telecom, quello programmato nell’Ilva (il 5,6 per cento) dei franco-indiani di Arcelor-Mittal, la Cdp si prepara ad entrare in Alitalia. Ad aprire a sorpresa il varco è stato nei giorni scorsi il presidente uscente, Claudio Costamagna: «Disponibili ad essere partner di minoranza».
Tre partite diverse ma piene di incognite, con la Cdp protagonista alla ricerca di un ruolo simile a quello della francese Caisse des Dépôts e della tedesca Kfw, forte dei circa 350 miliardi di euro di raccolta. Tre partite che dovranno gestire i nuovi ministri. Intanto il dossier Alitalia. Il governo Gentiloni ha sostanzialmente deciso di passare la mano al prossimo esecutivo. La gara si prolungherà di almeno due mesi, fino a giugno. Nei prossimi giorni dovrebbe essere varato il relativo decreto. Molte cose sono cambiate ma certo sembra di rivivere il passaggio del testimone tra i governi Prodi e Berlusconi che nel 2008 portò con sé la disastrosa cordata dei capitani coraggiosi e il successivo fallimento della compagnia ora in mano ai commissari. Lega e Cinquestelle hanno vinto le elezioni, forse governeranno insieme, sicuramente non vogliono il piano Lufthansa per Alitalia. «Un bagno di sangue», lo ha definito in campagna elettorale il capo politico dell’M5S, Luigi Di Maio, che ha annunciato la sostituzione dei commissari e anche un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori passati.
Linea dura nella quale l’intervento pubblico, come acquirente o azionista, non è affatto scontato. Il mantra dei pentastellati è: non si buttano i soldi pubblici. E i contribuenti hanno già buttato quasi otto miliardi per i tanti salvataggi di Alitalia. La strategia del Movimento prevede “un piano industriale di sistema” nel quale individuare gli asset strategici con una regia unica affidata alla Cdp.
Dunque non è scontato che ciò, nel caso andassero al governo, riguardi anche il trasporto aereo.
Cautela, ora, anche da parte della Lega che in campagna elettorale, tuttavia, non aveva esitato a parlare di nuovo di “compagnia di bandiera”. «Non possiamo escludere un intervento pubblico – spiega Armando Siri, senatore leghista, consigliere economico di Matteo Salvini –, ma in una prospettiva ben chiara che coinvolga un partner in grado di definire un piano industriale credibile. Di certo lo Stato non può più finanziare i buchi».
L’Ilva è un caso a sé. Mittal se l’è aggiudicata. L’Antitrust europeo fisserà tutti i paletti entro maggio ma ha già stabilito che dalla cordata dovrà uscire il gruppo Marcegaglia, sostituito con Cdp e Intesa. Molti sono ancora gli ostacoli da superare, dall’accordo con i sindacati all’opposizione della Regione Puglia. La Lega ritiene fondamentale la produzione nazionale di acciaio con una partecipazione pubblica a garanzia dell’occupazione.
I Cinquestelle hanno proposto la chiusura di Taranto e la riconversione dell’area in un centro di ricerche.
Con i soldi pubblici, of course.