5 aprile 2018
APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO TELECOMFRANCESCO SPINI SULLA STAMPAIl governo italiano batte un colpo, comincia la grande offensiva anti francese: è partita la guerra di liberazione di Telecom Italia
APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO TELECOM
FRANCESCO SPINI SULLA STAMPA
Il governo italiano batte un colpo, comincia la grande offensiva anti francese: è partita la guerra di liberazione di Telecom Italia. Dopo averla privatizzata nell’ormai lontano 1997, Roma attraverso il suo braccio finanziario Cassa Depositi e Prestiti punta a ritornare nel capitale dell’ex monopolista del telefono, acquistando una quota pari al 5%.
L’esecutivo, sia in carica solo per sbrigare gli affari correnti dopo il voto del 4 marzo, ha preso la decisione dopo aver consultato i principali partiti politici, trovando un ampio consenso sull’operazione.
Quello che un tempo era il gioiello tecnologico del Paese è stata negli anni al centro di scorrerie finanziarie. Nel 2016 il gruppo francese Vivendi, guidato dal famoso raider bretone Vincent Bolloré, ha ottenuto il controllo del gruppo, senza lanciare una vera e propria Opa. Con il 23,9% il gruppo parigino ha conquistato la maggioranza del consiglio di amministrazione, con lo scopo di far entrare Tim (il nuovo nome commerciale del gruppo) nella strategia di Vivendi di costruire un grande conglomerato dei media del Sud Europa. Fin da subito però i francesi si sono scontrati con il governo, per via di disaccordi sul piano di Roma per accelerare la diffusione dl la banda ultra larga, che vede l’Italia nella parte bassa della classifica in Europa. Altri azionisti di Tim, invece, si sono indispettiti per i conflitti di interessi di Bolloré, che - per poter restare in Tim - ha dovuto costringere Telecom a mettere in vendita una controllata, Persidera.
Sempre Bolloré ha tentato di usare Telecom per far pace con Silvio Berlusconi, a cui aveva rifiutato di comprare la pay tv Mediaset Premium, stracciando un contratto già firmato. Solo con l’arrivo, nell’autunno dell’anno scorso, del nuovo amministratore delegato Amos Genish, un manager israeliano di grande esperienza, i rapporti tra Tim e il governo sono migliorati, soprattutto dopo che Genish ha deciso di separare la rete dalla società. Al governo però non basta: per accelerare la diffusione di Internet superveloce lo Stato - attraverso Enel e Cdp - ha creato un’altra società di rete, Open Fiber, che vorrebbe fondere con la nascitura società di rete di Tim. Nel frattempo, dentro Telecom Italia, un fondo americano attivista, Elliott, ha deciso di spodestare i francesi dal controllo del cda, inserendo nel consiglio degli amministratori indipendenti. È qui che il governo, attraverso Cassa Depositi e Prestiti, si inserisce acquistando il 5%: con ogni probabilità darà man forte a Elliott per cambiare la governance di Tim e tutelare gli interessi italiani, soprattutto nell’infrastruttura di rete.
Nel frattempo il governo di Roma è pure decisa a dare una lezione alla Francia che, negli ultimi anni, ha fatto dell’Italia una terra di conquista: Lactalis ha conquistato Parmalat, Bnl è da anni di Bnp Paribas, molti marchi della moda sono finiti sotto il controllo di colossi francesi, senza dimenticare l’elettrica Edison, ora del gruppo Edf. Questo mentre la Francia fatica ad accettare gli investitori italiani: sono serviti diversi mesi prima che Fincantieri raggiungesse un accordo per i cantieri di Stx. Uno squilibrio che Roma ha deciso di riequilibrare. A farne le spese sarà monsieur Bolloré.
GIOVANNI STRINGA SU CDS
Il dossier Tim arriva oggi sul tavolo del consiglio della Cassa depositi e prestiti, braccio finanziario del ministero dell’Economia. È un dossier centrale per le comunicazioni in Italia. L’orientamento sarebbe quello di rilevare fino al 5% del capitale della società che al momento vede come primo socio, con il 24%, la francese Vivendi di Vincent Bolloré.
Da molto tempo si discute se la Cassa possa avere ruolo nella rete, ma in realtà questo intervento, secondo fonti vicine al dossier, servirebbe a tutelare il sistema Italia. Nella strategia di Cdp il presidente del Consiglio del governo uscente Paolo Gentiloni con i ministri Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda (in rappresentanza del Tesoro, azionista con l’82,77%) risultano allineati al presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti (le fondazioni bancarie sono al 15,93%) e ogni mossa sembrerebbe verificata anche con le principali forze del panorama politico.
Si apre così un altro «fronte» per Vivendi, già minacciata dal fondo attivista americano Elliott, che secondo le ultime indiscrezioni avrebbe arrotondato la propria quota portandola in «zona 10%». È uno scenario in grande movimento. La discesa in campo di Cdp, che avviene in chiave anti francese, potrebbe affiancarsi alla strategia di Elliott. Intanto incombono ben due assemblee del gruppo telefonico, il 24 aprile e il 4 maggio. Quest’ultima, con all’ordine del giorno il rinnovo del consiglio, è stata confermata ieri dalla stessa Tim, che ha ricordato ai soci interessati il termine del 9 aprile per la presentazione delle liste di candidati per la nomina del board.
A quanto pare, Assogestioni avrebbe rifiutato l’offerta di Elliott per la presentazione di una lista unitaria. Sul tema della rete l’amministratore delegato di Tim, Amos Genish, è intervenuto ieri in un’intervista al quotidiano francese «Les Echos»: è un «imperativo» che Tim «controlli la sua rete. Dove gli operatori non hanno seguito questa strategia (ci sono esempi negli Usa, in Australia, o in Nuova Zelanda...) ciò ha creato rischi inutili per una resa molto debole o nulla», ha detto il manager. Lo stesso Genish, in merito all’intesa tra Mediaset e Sky, ha invocato l’intervento dell’Antitrust: «Non è nell’interesse degli italiani che ci sia meno concorrenza nel mercato della pay tv. Se necessario, chiederemo dei rimedi». E proprio l’Autorità garante della Concorrenza e del mercato avrebbe inviato ieri due lettere, una a Mediaset e l’altra a Sky Italia, chiedendo chiarimenti sull’intesa appena siglata sui contenuti, con le risposte attese entro una settimana. Ma non ci sono solo le telecomunicazioni sul tavolo del board di oggi di Cdp. All’ordine del giorno anche il rinnovo delle nomine in Saipem, in una strategia che risulta concordata con l’Eni: la Cassa depositi e il Cane a sei zampe hanno in mano, insieme, il 43% del gruppo di servizi petroliferi. Tra l’altro, si avvicina anche il rinnovo dei vertici della stessa Cdp, a cui fanno capo quote in una lunga lista di aziende (e fondi), dal mercato delle poste a quello dei finanziamenti, del mattone e della già citata energia. Solo per citare alcuni esempi.
REPUBBLICA.IT
ROMA - L’ostilità di Silvio Berlusconi. I dubbi dei Cinquestelle. Ma anche l’avversione del governo uscente. Contro Vivendi si è coalizzato un fronte compatto che punta a ridimensionare l’influenza della società francese (Vivendi appunto) su Telecom Italia.
Chi sono i transalpini. Vivendi è un gigante dei media, della musica, dei videogiochi. Controlla Universal Music Group. Ha in mano Canal+, la televisione a pagamento leader in Francia (presente anche in Africa, Polonia, Vietnam e Myanmar). La filiale Studiocanal produce, vende e distribuisce sia film sia serie tv. Havas - altra proprietà di Vivendi - opera in più di 100 Paesi, soprattutto nei campi della pubblicità e delle pubbliche relazioni. Ma Vivendi è forte anche nei videogiochi per telefoni e tablet (grazie a Gameloft) e nei video sul web (con Dailymotion). Tra i suoi beni, due templi della musica come l’Olympia e il Théâtre de l‘Œuvre a Parigi.
Che cosa hanno in Telecom. La campagna d’Italia porta i francesi di Vivendi a diventare il socio di maggioranza relativa nel nostro operatore delle telecomunicazioni, con una quota del 23,94 per cento. A lungo, Vivendi ha sostenuto di esercitare su Telecom Italia solo poteri di direzione, mentre la Consob gli attribuisce il controllo di fatto sulla società ("ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile e dell’articolo 93 del Testo Unico della Finanza").
Che cosa contesta il governo. Le incomprensioni tra Vivendi e il governo Gentiloni riguardano la rotta di marcia di Telecom Italia. Il governo sognava un campione nazionale della rete. Voleva, cioè, un unico soggetto capace di mettere insieme Telecom Italia e OpenFiber (la creatura dell’Enel e della Cassa Depositi e Prestiti).
Ma Vivendi non ci sente da quest’orecchio. Ancora ieri - in un’intervista alla Stampa - l’ad Amos Genish sostiene che un gigante come Telecom Italia (forte di 4,6 miliardi di ricavi) non ha motivo di accompagnarsi a quello che lui giudica un nano: "OpenFiber - nota sdegnoso - risulta aver fatto ricavi per 70 milioni nel 2017". Oltre alle incomprensioni di sostanza, ci sono quelle di forma con il governo uscente. Telecom Italia - che è impresa strategica per la sicurezza del Paese - non ha informato Palazzo Chigi del ruolo sempre più forte che Vivendi acquisiva nel suo azionariato. Il governo, che lamenta dunque la violazione della legge sul "golden power", ha avviato l’iter per multare Telecom.
Vincent Bollorè, numero 1 di Vivendi
Che cosa contesta Berlusconi. A luglio del 2016 Vivendi si impegna a comprare il 100 per cento di Mediaset Premium, la deficitaria pay-tv del Biscione. Vivendi avrebbe pagato Premium con un pacchetto di sue azioni (pari al 2,962% del capitale sociale). La casa madre Mediaset avrebbe ottenuto anche un altro fascio di azioni (lo 0,538% di Vivendi) e girato ai francesi, a sua volta, un 3,5% del proprio capitale. Ma settembre del 2016, Vivendi si chiama fuori facendo intendere che Mediaset Premium versa in condizoni molto più gravi di quanto immaginasse. Quando il titolo della casa madre Mediaset precipita per la mancata vendita della traballante pay-tv Premium, ecco i francesi rastrellare azioni di Mediaset, a un prezzo di favore. I francesi arrivano così a controllare il 28,8% del capitale di Mediaset e il 29,94% dei diritti di voto. Berlusconi, che denuncia la scalata ostile, passa alle vie legali.Che cosa contestano le autorità di garanzia. L’AgCom, il garante per le comunicazioni, accusa Vivendi di violare le norme anti-concentrazione italiane per la presenza simultanea in Telecom Italia (al 23,94%) e in Mediaset (al 28,8%). Per questo, l’AgCom impone a Vivendi di collocare in un trust indipendente il 20% della sua partecipazione in Mediaset.
Che cosa contestano i grillini. "Il nostro Stato deve tornare a farsi rispettare dai cugini d’oltralpe", dice in queste ore un grillino tra i più influenti, Stefano Buffagni, "E’ fondamentale riprendere, da mano straniera, la nostra infrastruttura tecnologica e di telecomunicazioni".
Che cosa succede nell’azionariato. Mentre il fronte anti-francese si allarga e si consolida, lo Stato si prepara a entrare nel capitale di Telecom Italia attraverso Cassa Depositi e Prestiti, che rastrellerà fino al 5 per cento delle azioni. Intanto il fondo attivista americano Elliott (lo stesso che ha partecipato al salvataggio del Milan) è già al 9,9% di Telecom Italia, dove ora la bandiera francese di Vivendi sventola molto più bassa. Fonti di Vivendi fanno sapere che l’ingresso eventuale di Cdp non sarebbe "ostile" e che anzi "ogni azionista è benvenuto". Dal fondo speculativo altre fonti rimarcano che nulla è concertato, anche se in prospettiva "una convergenza" tra le due posizioni è possibile.
MANACORDA SU REP
Un fondo attivista Usa, un governo moderato e per di più in uscita come quello di Paolo Gentiloni, i vincitori di segno opposto scelti dalle ultime elezioni. Tutti uniti nella lotta. Solo lo spregiudicato finanziere francese Vincent Bolloré poteva riuscire - suo malgrado - a cementare una così improbabile alleanza.
Eppure, se il copione scritto in queste ultime ore andrà in scena come previsto, le scelte dettate da pura logica finanziaria del fondo Elliott, le preoccupazioni del governo uscente sui rischi di una gestione troppo disinvolta di un asset nazionale e le aspettative di centrodestra e Cinque Stelle si allineeranno in modo quasi miracoloso nella prossima assemblea della Telecom Italia. Tutti uniti con l’obiettivo appunto di disarcionare Bolloré e i suoi fedelissimi dal consiglio d’amministrazione.
A guardare il ribaltone clamoroso con la lente della politica ecco la grande coalizione - impossibile in Parlamento - materializzarsi a sorpresa in campo finanziario. Il Pd e i tecnici d’area come Padoan, e soprattutto Calenda, che dicono basta alle scorribande finanziarie in terra italiana del corsaro Bollorè e decidono di stabilire un "presidio" in Telecom attraverso la quota Cdp; un Berlusconi che pur decadente patron di Forza Italia non può che gioire nel vedere un altro colpo assestato all’ex amico Vincent che voleva sfilargli Mediaset, peraltro subito dopo il cazzotto che lo stesso Berlusconi si è premurato di sferrargli firmando un’alleanza a sorpresa tra la tv del Biscione e Sky; e poi la Lega neonazionalista ed antieuropeista che non disdegna certo un intervento in nome del pubblico contro i capitali stranieri, fino ai 5 Stelle che proprio ieri hanno chiesto di "riprendere da mano straniera la nostra infrastruttura tecnologica e di telecomunicazioni".
Il governo uscente ha vissuto male - per usare un eufemismo - le mosse scomposte - altro eufemismo - di Bollorè.
Nella lista delle contestazioni che nessuno potrà mai fare pubblicamente ai francesi, ma che pesano molto nella decisione presa, c’è non solo l’arroganza del bretone che è sbarcato in una società strategica italiana senza bussare alla porta, anzi infilando un piede nel battente, ma anche alcune mosse successive. Ad esempio quelle che lo stesso governo attribuisce a Unicredit e Generali, entrambe oggi a guida francese, per spingere i fondi di investimento italiani a presentare una lista diversa da quella di Elliott. O la lettera spedita qualche settimana fa dal ministero dello Sviluppo economico a Telecom per chiedere di andarci piano con le gare al massimo ribasso su call center e appalti vari, dove a sorpresa era spuntata anche una società francese.
Certo è che l’ingresso di Cdp nel capitale di una società privata, con l’obiettivo dichiarato di "presidiare" Telecom ed entrare nella conta dei voti tra i soci, suscita più di una perplessità. Perplessità che dai palazzi del governo si rimandano al mittente anche ricordando che la Caisse des dépots et consignations - l’equivalente francese della Cdp - è andata spesso in assemblea di Telecom con una quota sopra l’1%.
ANDREA GRECO
Controffensiva patriottica su Tim. Con un blitz deciso nel ponte di Pasqua il governo sguinzaglia la Cassa depositi e prestiti sul dossier più delicato e congegna un’operazione che dovrebbe estromettere Vivendi dal controllo della società.
Il consiglio di Cdp, oggi, dovrebbe infatti deliberare l’acquisto sul mercato di una quota fino al 5% di Tim. Un “presidio”, lo definiscono fonti di governo. Lo schema, secondo due fonti attive sul dossier, sarebbe quello di schierare il pacchetto già nell’assemblea del 24 aprile dove il fondo attivista Elliott metterà ai voti la sua proposta di sostituire sei consiglieri di nomina Vivendi con altrettanti nomi di “indipendenti” non legati ai francesi. La mossa è stata rinvigorita dal parere del collegio sindacale di Tim, che ha ribaltato l’iniziale decisione del cda. E Cdp, nei piani, si dovrebbe schierare con il suo 5% o la quota che avrà al momento, proprio a fianco di Elliott. Il governo in carica vuole infatti assicurarsi che il piano di Elliott vada a buon fine, e schiera le munizioni pesanti — un investimento che potrà arrivare a circa 750 milioni — per escludere che qualche tribunale possa modificarla.
Il passo successivo è quello di far convolare la prossima Tim a trazione mista “di Stato e di mercato” verso una fusione con Open Fiber, la controllata di Enel e della stessa Cdp nata per stendere la fibra ottica in Italia.
Il governo guardava da alcuni giorni con interesse al tentativo di formare una lista comune di candidati consiglieri, tra Elliott e i fondi di investimento italiani, per l’assemblea Tim del 4 maggio, chiamata a eleggere il cda dopo che Vivendi, primo azionista con il 24%, con mossa tattica aveva ritirato i suoi amministratori per ostacolare l’ascesa di Elliott. C’era tempo fino a martedì perché Elliott integrasse l’odg assembleare, e chiedesse la nomina di un presidente “indipendente” da parte di tutti i soci, facendo confluire il suo 9,9% in Tim con le quote dei fondi istituzionali in una lista di minoranza, ma garantita da un presidente super partes. L’offerta non si è mai concretizzata, si dice per la freddezza dei gestori dei fondi che fanno capo a Generali e a Unicredit.
Due colossi retti dai manager francesi Philippe Donnet e Jean Pierre Mustier, che avrebbero preso parte per Vivendi e messo in minoranza i fondi di Intesa Sanpaolo; confortati anche dai buoni rapporti con Mediobanca, di cui Bolloré è secondo socio, e dello scetticismo del ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan.
Sfumata questa opzione, rischiava di concretizzarsi uno scenario a tre liste: Vivendi, i gestori e il fondo Usa. Scenario che avrebbe consegnato la maggioranza dei voti e del cda ancora ai francesi. Per scongiurarlo, si è mosso Palazzo Chigi, sentiti anche i leader dei partiti. In una riunione fra il premier Paolo Gentiloni, il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda e lo stesso Padoan, si è imposta la volontà dei primi due. Da qui il mandato ai consiglieri di Cdp. Se nell’assemblea Tim del 24 aprile sarà nominato il consigliere Amos Genish (finora cooptato), il cui ruolo come amministratore delegato pare andare bene a tutti, se poi Elliott nominerà i suoi sei consiglieri, affiancandoli ai cinque della minoranza e a Franco Bernabé, a quel punto mancherebbero due consiglieri per i 15 previsti dal nuovo statuto Tim. Due figure da cooptare con calma. A quel punto l’assemblea del 4 maggio potrebbe essere sconvocata e a Vivendi non resterebbe che trascinare Tim in una guerra di tribunali. E lo Stato italiano dietro di lei.