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 2018  aprile 05 Giovedì calendario

Battuta la tassa sui sacchetti. «Si possono portare da casa»

Alla fine la mobilitazione tanto disprezzata da Renzi è servita eccome: è solo dopo la denuncia del Giornale, e l’ecosui social network, che il governo ha deciso di chiedere al Consiglio di Stato un parere sulla possibilità di portare da casa i sacchetti per la frutta il cui acquisto era stato imposto per legge. E ieri è arrivata la risposta che apre alla possibilità per i consumatori di sfuggire all’assurdo diktat imposto ai supermercati (e ai loro clienti) obbligati a far pagare i bioshopper in ossequio a una inconsistente logica ecologista.
La scappatoia individuata dal supremo organo della giustizia amministrativa è contenuta nella legge stessa, poco attenta ai consumatori ma molto favorevole al business (il settore è largamente dominato da un’unica azienda, la Novamont). Con il parere numero 859, i consiglieri di Stato argomentano il diritto dei clienti di comprare altrove i sacchetti e portarli al supermercato, visto che la legge conferisce un prezzo agli shopper e quindi li inquadra come «beni autonomamente commerciabili». Ma c’è di più: il governo ha giustificato la misura dirigista con il richiamo alla normativa europea che impone di ridurre l’uso di plastica, imponendo l’adozione di sacchetti compostabili e biodegradabili, ma non si era preoccupato minimanente di garantire una vera riduzione dell’uso di plastica incentivando il ricorso ad altri materiali e di contenitori, con un paradossale tradimento di fatto della direttiva europea, che infatti esenta dall’obbligo di pagare proprio i sacchetti per la frutta. Il Consiglio di Stato si è però appellato al principio ecologista contenuto nella legge aprendo alla sua applicazione più efficace: usare contenitori diversi dai sacchetti in plastica. Il linguaggio è giuridico ma esplicito: «Deve certamente ammettersi la possibilità di utilizzare, in luogo delle borse ultraleggere messe a disposizione, a pagamento, nell’esercizio commerciale, contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore». E non è tutto: i magistrati aggiungono che non si può «inoltre escludere, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario».
La pronuncia smonta i piani di chi ha voluto inserire l’emendamento sui sacchetti in pieno agosto all’interno di una legge che non c’entrava nulla (il decreto sullo sviluppo del Mezzogiorno). E potrebbe anche scombinare i calcoli dell’industria beneficiata dall’emendamento. Assobioplast, l’associazione delle aziende di settore, aveva stimato in 8-10 miliardi di shopper il fabbisogno imposto dalla norma. A conti fatti, visto che il prezzo dei bioshopper si aggira tra i 2 e 4 centesimi, l’affare avrebbe fruttato tra i 160 e i 320 milioni di euro. Molti commentatori, forse non troppo abituati a dover fare di conto per arrivare a fine mese, avevano liquidato come trascurabile la ricaduta sulle famiglie. La spesa media prevista, 12 euro l’anno, non è un’emorragia, ma pur sempre una cifra non trascurabile, considerando che, ad esempio, il rincaro sulla bolletta del gas che ha irritato le associazioni dei consumatori a inizio anno ammonta a una ventina di euro. E, soprattutto, 12 euro di troppo considerato che «l’obbligo di sacchetto» avrà avuto un impatto discutibile sull’ambiente. Resta da vedere come si regoleranno ora i supermercati, cui il Consiglio di Stato rimette l’obbligo di vigilare «sula tutela della sicurezza e igiene degli alimenti». E visto che il governo non ha dettato regole, la possibilità di intoppi e contestazioni non è remota.