la Repubblica, 5 aprile 2018
Valeria Bruni Tedeschi: «Non firmo petizioni e adoro Allen»
ROMA Quando arriva il momento di decidere bisogna sempre fare una scelta di accoglienza verso i migranti, non di chiusura». Valeria Bruni Tedeschi è la madrina dei Rendez Vous, la rassegna che celebra a Roma il nuovo cinema francese (da oggi al 10 aprile) nei giorni in cui tra i due Paesi si consuma la crisi di Bardonecchia. L’incontro avviene subito dopo una masterclass alla Casa del Cinema in cui l’attrice e regista ha conquistato la platea con la sua ironica sincerità. Fuori l’aspetta l’amico Mimmo Calopresti per portarla a cena.
Ora, in camicia bianca, il volto senza trucco, beve una coca cola dalla bottiglia e confessa: «Non sono stanca, sono tesa». Sta ultimando il quarto film da regista, I villeggianti, dato probabile a Cannes. Lei è scaramantica: «Non ho ancora finito di montarlo».
“I villeggianti” è ispirato alla piéce “Figli del sole” di Gorki?
«È stato lo spunto per raccontare di un gruppo di persone in vacanza in una grande proprietà in Costa Azzurra, parenti, amici, dipendenti. Un microcosmo che Gorki racconta a suo modo. Io lo faccio nel mio: ci sono dialoghi, scene, sogni inventati, però mescolati a situazioni che conosco. Anche il mio documentario Una jeune fille de de 90 ans, che si vedrà ai Rendez vous, mentre lo giravo è diventato un racconto autobiografico. Il mio cinema lo è sempre».
Nel prossimo film c’è un pezzo della sua famiglia.
«Mia madre è un’ottima attrice: era pianista ed è precisa nelle intenzioni. Il nostro rapporto sul set è meglio di quello nella vita. Stavolta debutta anche mia zia, 94 anni. Voleva fare l’attrice, il marito era contrario. Poi c’è mia figlia. Manca solo mia sorella Carla: la chiamo a ogni film ma lei non vuole far l’attrice».
Ha chiamato la sua amica Valeria Golino.
«È una delle donne della mia vita. L’ammiro nel suo modo di vivere, nel suo lavoro. È anche una donna che sognerei di essere, ma non sono. Ha una leggerezza, una grazia sua. Poi in comune abbiamo la stessa malinconia.
Vorrei recitare in un suo film, mi piace quando mi scatta fotografie, il modo in cui mi guarda. Mi piacerebbe avere un rapporto eccitante in Italia come attrice. È passato un po’ di tempo dal film di Paolo Virzì, ora sono pronta per qualcosa di nuovo e potente».
Un regista che le piace?
«Paolo Sorrentino. Sono molto curiosa di vedere il suo nuovo film. È un grande artista».
A differenza della sua amica Valeria Golino, lei non è tra le firmatarie di Dissenso comune.
«Non prendo posizione contro, ma non firmo. Non mi sento portata da questo slancio. Ciò che è successo è storicamente importante e liberatorio per le donne in molti mestieri. Ma io in quanto attrice non riesco a sentirmi in empatia con le posizioni delle colleghe. Forse perché non ho mai subito ingiustizie o situazioni imbarazzanti. Non ho mai sofferto e quando non soffri è difficile sentirsi partecipe. Penso che Valeria abbia sofferto personalmente. Io invece quando avevo vent’anni facevo teatro e non cinema, non ero esposta.
Non mi sono sentita di firmare la lettera per fare come le altre».
La battaglia è anche per la parità salariale, per avere più spazio e ruoli.
«Ma la presenza di ruoli femminili non si può obbligare, non si può obbligare l’immaginario degli uomini a desiderare o sognare una donna che ha più di quaranta o cinquant’anni. L’erotismo al cinema non è legato alle scene d’amore: a me accende l’immaginario una donna di ottant’anni con l’Alzheimer che s’innamora. Ma se questo non eccita un’altra persona, non posso obbligarla».
La contessa Valdirana della “Pazza gioia” è molto desiderabile.
«Lo so. Ma al cinema la maggior parte dei ruoli è per donne di trentacinque anni: questo è quel che succede. Io posso cambiarlo solo fregandomene. Facendo le mie cose. Scrivendo i miei film, filmando una donna di ottant’anni. Questo è il mio immaginario ma non posso obbligare quello degli altri».
Tutti i divi sono in fuga da Woody Allen. Lei ha detto: “Meglio così magari riesco a lavorarci io”.
«I suoi film resteranno le medicine che mi hanno aiutato, facendomi credere alla possibilità di ridere dei dolori, fare ordine al nostro caos. Anche se Allen fosse colpevole di atti terribili, non dimentico quanto il suo cinema mi ha consolata.
Vederlo rinnegato da tutti è terribile. E poi voglio credere alla giustizia americana, che lo ha assolto. È un fatto che non va ignorato».
Il delegato generale di Cannes Thierry Fremaux ha bandito i selfie sul tappeto rosso e le anteprime stampa per evitare le stroncature sui social.
«Ha ragione: è meglio conservare il rituale, il mistero, l’eleganza, l’attesa. Il desiderio lo si deve nutrire, non si può annegare tutto nei social».
Lei è stata a Cannes da regista due volte.
«Per fortuna senza stroncature mattutine. Ma se la proiezione va male come vai all’anteprima la sera? Come ci si veste quando si sono sentite cose terribili, come ci si trucca e si mette il naso fuori dell’albergo?».
E poi c’è la questione Netflix.
«Non mi piace tanto, io non guardo i film sul piccolo schermo, io vado al cinema».
E se Woody Allen le propone un film su Netflix?
«Lo faccio. Subito. Cambio idea. Solo gli scemi non cambiano idea».