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 2018  aprile 05 Giovedì calendario

«Di me stesso sopravvive solo la poesia». Intervista a Hans Magnus Enzensberger

Alla fine della nostra conversazione, in questo luogo in cui vive ormai da decenni, a Monaco di Baviera, Hans Magnus Enzensberger si alza in piedi per brindare con lo sherry. È un europeo convinto, incastonato nell’idea di Europa, ma ora è triste: l’invenzione non funziona.
L’autore di Tumulto (Einaudi, 2016) ha passato in rassegna le vicende rivoluzionarie del XX secolo, che in alcuni casi ha visto dal vivo: Cuba, il maggio del ’68, la Baader Meinhof, le Brigate rosse, perfino le fiamme di speranza e prematuro naufragio dell’Unione Sovietica. Con questo bagaglio culturale e politico, affonda ora il bisturi in un libro che sarà pubblicato da Suhrkamp, il mese prossimo, e che si intitola L’arte della sopravvivenza.
Ci troviamo con lui nella sua casa (23 gradi dentro, -10 nella strada innevata). Conserva i suoi modi, la vivacità di quegli occhi chiari. Alla sua età, dice, non viaggerà più.
«Non ho voglia di stare negli aeroporti: li odio, ti controllano da tutte le parti, ti fanno togliere i vestiti, le scarpe. Non lo accetto!
L’articolo 1 della Costituzione tedesca dice che la dignità dell’uomo non dev’essere attaccata. E negli aeroporti fanno tutto il contrario». Un’altra cosa che si rifiuta di fare è utilizzare il cellulare, usare la posta elettronica più del necessario… «Rispondo al telefono normale e scrivo lettere. C’è un metodo sicuro se non vuoi essere sorvegliato: spedire e ricevere lettere scritte a mano; le macchine non sanno leggerle».
Nella vita cerchiamo sempre di eludere la vigilanza.
«Fortunatamente, in questo mondo così vigilato, nessuno si interessa a me, non conosco nessuno, nessuno vuole sapere di me e non conosco nemmeno la signora Merkel!».
Le piacerebbe?
«Non ho mai avuto la smania di incontrare i politici».
Ma con Fidel Castro si è incontrato.
«Anche con il re di Spagna, e la regina! Ma è ovvio, c’erano i premi Príncipe de Asturias. In quell’occasione era inevitabile.
Misero su una grande festa!».
In “Tumulto”, l’Hans Magnus Enzensberger di ora parla con il suo antenato, l’Hans Magnus Enzensberger delle rivoluzioni.
«Sembra che lei si sia dimenticato di quanto era chiassoso il tumulto».
Ora sì che è chiassoso il mondo.
«Moltissimo!».
Negli anni 60 era un tumulto controllabile.
«E ora in Germania siamo in un’isola di pace, non c’è guerra civile, è piacevole vivere qui. Ma nel resto del mondo! Il Medio Oriente è invivibile, la Siria, l’Iraq, i curdi».
E in più a capo del mondo c’è un uomo, Donald Trump, che ama la guerra e reclama armi…
«Mi dà pena l’America, perché gli americani mi salvarono, ci salvarono, nel 1945. Ho molta gratitudine verso gli americani, ma provo grande compassione per la situazione in cui si trovano ora con quest’uomo, è terribile».
A proposito della strage di liceali, quell’uomo ha detto che se i professori fossero stati armati non sarebbe successo…
«Hanno l’ossessione delle armi, in Canada quel problema non è mai arrivato. Nell’Ottocento c’è stata una guerra civile tra il Nord e il Sud degli Stati Uniti. Quella guerra latente persiste, e da lì viene la loro ossessione di girare armati».
E la Germania come va?
«Più o meno tranquilla. C’è una destra populista, come dappertutto, come in Francia e in Scandinavia. Non mi preoccupa assolutamente, perché non vinceranno mai: sono personaggi poco affidabili, che litigano fra loro».
In “Tumulto” lei ricostruisce il passato con il suo alter ego più giovane, il testimone di tutte le rivoluzioni. A che serve guardare al passato?
«Per sapere come eravamo, come siamo sopravvissuti. L’arte della sopravvivenza parla di quello che hanno fatto gli artisti per sopravvivere nel XX secolo. Lo studio del passato ci porta a conoscere le arti usate da molti individui famosi i quali fecero di tutto per non farsi schiacciare dalla storia e restare a galla».
Fra questi personaggi si intravedono nomi in spagnolo: Octavio Paz («e i suoi rapporti con il Pri messicano»), Camilo José Cela («lo detesto, non ho alcun rispetto per lui»), Pablo Neruda («immagina che personaggio, la sua Ode a Stalin… che sopravvissuto»). Ha visto che è successo ora a Parigi? Hanno censurato Céline.
«È sopravvissuto, ma è una persona molto negativa, un antisemita furioso! Talmente furioso che perfino i nazisti tedeschi lo evitavano. Accusava addirittura Hitler di non essere abbastanza radicale!».
E Neruda?
«Era una faccia di bronzo. Faceva il comunista impegnato e rivoluzionario, ma era tutto falso.
Però gli fu molto utile per sopravvivere in Unione Sovietica, in Occidente, in Spagna, in America Latina e in Oriente, come console della repubblica cilena».
Chi salva?
«Ho un certo rispetto per quelli che non collaborarono con gli occupanti nella guerra mondiale, con quelli che conservarono una certa indipendenza, qualità che ammiro molto. Ryszard Kapu?ci?ski, Iosif Brodskij… Questo libro è un test per capire come mi sarei comportato io».
E Tumulto è un percorso attraverso tutto quello che le ha suscitato entusiasmo e poi l’ha disgustata.
«La disillusione è un fattore molto grave. Per esempio, Gottfried Benn fu un sostenitore entusiasta dei nazisti: dopo, la sua disillusione fu talmente grande che si ritirò a fare altro. Quando arrivi alla fama mondiale, è impossibile che ti uccidano. Pasternak, Solženicyn: la fama può essere una strategia. Poi c’è una strategia contraria: rendersi invisibile, non comparire».
Di tutto quello che è successo nel XX secolo, di tutte le sue esperienze, c’è qualcosa di cui si sente di dire: «Questa è andata bene»?
«Nel mio caso è sopravvissuta la poesia, ne ho scritta tanta. E il mio primo libro è stato di poesie».
Immagini che un suo nipote le chieda che cosa è sopravvissuto degli anni ’60, del ’68, della rivoluzione cubana…
«Credo che ora, in generale, i rapporti con la polizia siano diversi. Credo che perfino in Spagna la Guardia Civil si sia civilizzata; e l’esercito tedesco è pacifista!».
Questo ci viene dal ’68?
«Sì. Anche in Germania ebbe effetti. C’erano ancora le vestigia del Reich tedesco degli anni ’20. Ora lo spirito militare è scomparso: non ne vogliono più sapere: il tono della società è cambiato, vogliono fare affari, esportare automobili».
E che apporto dà ora la politica tedesca all’Europa?
«Non vogliono avere l’egemonia politica, presentarsi come i numeri uno. Da qui l’alleanza con Macron, perfino con Paesi con cui non corrono buoni rapporti, come Polonia o Ungheria. Si nota il peso economico della Germania, e il peso demografico, ma ora sono inoffensivi».
Non vogliono litigare nemmeno con Trump.
«Dobbiamo stare attenti, perché qui entra in gioco la Nato. Ora c’è la garanzia che i russi non invaderanno la Germania, che il petrolio possa arrivare dal Medio Oriente o dal Venezuela».
E oggi la politica è determinata dall’interesse.
«Non c’è amicizia senza interesse».
Dice in Tumulto: «Sono stato nella terra di nessuno di troppi aeroporti». È il suo modo di sminuire la propria importanza.
«Forse l’ho svicolata per istinto: nella guerra mondiale ho imparato a tenermi lontano da quelli che sparavano, il suono della mitragliatrice non mi piace; e alla fine ho disertato, per istinto di sopravvivenza».
Fu reclutato che era ragazzino, come Günter Grass…
«Fecero un caso della sua appartenenza alle Waffen SS e non dicono che per costituire quell’esercito reclutarono un milione di persone ingenue… Hanno montato un caso enorme su questa storia! E Günter era un ragazzo ingenuo, che in seguito è stato un grande narratore, ma non è mai stato un intellettuale».
Nella sua opera si parla molto di crolli, affondamenti: La fine del Titanic, Tumulto…
«Ma ce n’è anche uno sul progresso,
Mausoleum: 37 ballate tratte dalla storia del progresso! Cinquanta libri! Basta! Ho la sensazione che in Germania mi tollerino perché sanno che ormai dovranno sopportarmi ancora per pochi anni.
È questione di pazienza».

Traduzione di Fabio Galimberti