la Repubblica, 5 aprile 2018
L’amaca
Con tutto il rispetto per il Garante della Privacy, dubito che la sua intimazione a Vodafone (o a qualunque altro operatore telefonico) di sospendere lo stalking pubblicitario ai danni degli utenti non consenzienti possa avere successo. Faccio parte dei milioni di bersagli che, dice il garante, «avevano espressamente chiesto di non essere più disturbati» (la sim della mia centralina di allarme mi mandava gli auguri di Natale proponendomi «vantaggiose offerte»), ma non c’è niente da fare. È come cercare di fermare il mare con un rastrello.
Ai milioni di messaggi e telefonate che partono per diretta volontà dell’operatore si aggiungono gli infiniti e spesso incontrollabili “rimbalzi” che il proprio numero privato subisce senza che nessuno sembri in grado di impedirlo (non c’è solo il dolo: c’è anche la supremazia degli automatismi sul controllo umano). Pare che basti cliccare su una app perché il numero del proprio smartphone finisca in una delle capienti banche dati che fanno commercio delle nostre sim. Pretendere la cancellazione dei propri dati è un diritto di difficile riscossione, visto che i propri dati, nel frattempo, sono emigrati in altro luogo, duplicati e/o trafugati.
È un thriller nel quale le forze dell’ordine fanno irruzione nel covo dei cattivi ma non trovano più niente: il bottino è altrove, inafferrabile, basta un clic per spostare milioni di utenti pubblicitari nei luoghi inaccessibili dove l’algoritmo impera, e l’uomo esegue.