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 2018  aprile 05 Giovedì calendario

Il dilemma di Xi Jinping. Con i rincari sulla soia paga l’industria dei suini

Pechino Prima di sfoderare l’arma fine mondo, i dazi sulla soia, Pechino deve averci riflettuto bene. Perché è vero che a produrre il legume sono soprattutto elettori di Donald Trump, gli agricoltori dell’America profonda. Ma è altrettanto vero che a mangiarlo sono i maiali cinesi. E che quei suini, macellati e cucinati a dovere, diventano poi il cibo d’elezione dei cittadini del Dragone, sulle cui tasche rischia di riflettersi alla fine il prezzo della rappresaglia commerciale contro la Casa Bianca.
Benvenuti alla guerra di dazi nell’epoca della globalizzazione: una gabella del 25% che rischia di mandare in tilt mezza industria alimentare globale. Ieri perfino la nostra Coldiretti ha lanciato un allarme per il possibile impatto inflazionistico sul prezzo della carne, anticipando la reazione a catena.
Oggi la Cina importa 14 miliardi di dollari l’anno di soia dagli Stati Uniti, primo produttore e primo consumatore legati a doppio filo. Se quel flusso diventasse all’improvviso di un quarto più costoso, gli allevatori di maiali cinesi proverebbero a rivolgersi altrove. Solo che quell’altrove in pratica non esiste. Gli agricoltori di Brasile e Argentina ( che ieri hanno festeggiato a champagne) vendono all’estero un bel po’ del legume. Ma anche se tutto il frutto del loro lavoro si indirizzasse all’improvviso verso Oriente, non basterebbe a rimpiazzare il carico americano e riempire la pancia dei maiali cinesi.
L’effetto sarebbe un’impennata dei prezzi della materia prima. Da qui la paura degli allevatori, italiani compresi. E quelli cinesi? In teoria il riflesso delle tariffe di Pechino dovrebbe arrivare subito a loro, scaricandosi poi nelle macellerie del Paese. Se il regime le ha inserite comunque nel pacchetto, a rischio di tirarsi la zappa sui piedi, è che al momento in Cina non mancano maiali ben pasciuti. Anzi, il grande sviluppo delle fattorie ha moltiplicato il numero di capi e fatto precipitare il costo di lardo e costoletta ai minimi da quattro anni. C’è spazio per assorbire un extra, senza temere impennate inflattive e sollevazioni popolari nei mercati.
Certo alla lunga gli effetti si vedrebbero anche in Cina. Ma forse Pechino ha sfoderato l’arma totale perché così lontano spera di non arrivare. I dazi annunciati ieri, uguali e contrari a quelli di Trump, non hanno ancora una data di partenza e sembrano più un invito a trattare. Che per i voti dei contadini del Midwest Trump dovrà prima o poi considerare. – f.s.