la Repubblica, 5 aprile 2018
Se si oscura il sole di Macron
La riforma della Sncf, la società delle ferrovie dello Stato, è il primo vero banco di prova per Emmanuel Macron. Introdurre dei privati, come è già accaduto da noi, in quel settore pubblico di vecchia tradizione equivale a una dissacrazione. Si infrangono diritti e privilegi. A compiere il sacrilegio è il giovane presidente uscito finora con una discreta popolarità dalle crisi interne e internazionali del suo primo anno come capo dello Stato, e che ora inciampa in una crisi casalinga. Nel caso di Macron più di una popolarità dovuta ai successi si dovrebbe parlare di indulgenza, di simpatia nei confronti di un politico dinamico e intelligente, visto come un personaggio raro.
In un’Europa avara di veri uomini di Stato. Con la solita eccezione di una donna, Angela Merkel, che però non è stata premiata alle ultime elezioni, e che viene descritta, da non pochi osservatori tedeschi, sul viale del tramonto.
In realtà il giovanile volontarismo di Emmanuel Macron ha dato scarsi risultati, dopo la significativa vittoria elettorale sul populismo lepenista. Le interminabili trattative per la formazione di un nuovo governo in Germania l’hanno privato a lungo dell’indispensabile partner d’oltre il Reno; ed ora frenano i suoi slanci europeisti l’ondata euroscettica in Italia e il rifiuto delle sue riforme dell’ eurozona da parte dei paesi del Nord, guidati dall’ Olanda.
Ma è in patria che comincia adesso la vera prima prova di rilievo per Emmanuel Macron. È la più importante sfida di questo suo primo anno di presidenza. Il risultato influenzerà il resto del suo mandato. Lo sciopero indetto contra la riforma dell’Sncf tocca l’opinione pubblica, riguarda chi ci lavora ma anche le masse di utenti, e può ferire il suo credito di riformatore. Un riformatore animato dalla grande ambizione di “sbloccare “la società francese. L’esito della vertenza sociale cominciata martedi 3 aprile è destinato a pesare sul resto dell’azione del presidente che rifiuta l’impronta di sinistra come quella di destra, ma che assume l’una o l’altra secondo le situazioni e i problemi che si pongono. Nel giro di pochi mesi Macron è riuscito a far passare una parte sostanziosa del suo programma: dalla riforma del mercato del lavoro a quella della formazione professionale, dalla revisione delle agenzie del lavoro ai numerosi provvedimenti in materia scolastica. Tutte misure annunciate in campagna elettorale che il paese ha accettato, nonostante le frustrazioni sindacali e qualche astensione dal lavoro. Al contrario di molti suoi predecessori non ha dimenticato le promesse.
La riforma ferroviaria è la più consistente. Nessuno è riuscito finora a piegare un’ aristocrazia operaia, in particolare la categoria dei macchinisti. Chi ha cercato di privare quest’ultima dei diritti o privilegi di cui usufruisce ha dovuto rinunciarci. È battuto in ritirata. Dopo il vano tentativo di Alain Juppé ( primo ministro di Jacques Chirac) nel 1995, nessuno ci aveva più provato. Per Emmanuel Macron la riforma della Sncf è il primo difficile appuntamento, dal cui esito dipendono i prossimi impegni innovatori. Ad esempio la revisione delle pensioni. Nell’immediato è in gioco la sua popolarità. Il governo punta su un’opinione pubblica stanca degli scioperi. Sottoposta alle difficoltà nei trasporti milioni di pendolari potrebbero indurre i macchinisti delle ferrovie a cedere. Macron punta sul disagio che coinvolge masse di uomini e donne e sulla loro reazione. Finora i sondaggi hanno dato in minoranza ma in aumento i favorevoli allo sciopero ( da 42 per cento sono passati a 46 per cento). L’agitazione dovrebbe durare tuttavia tre mesi, fino al 28 giugno, al ritmo di due giorni di sciopero e cinque giorni di pausa. Gli umori dell’opinione pubblica hanno dunque tutto il tempo per cambiare. Emmanuel Macron cerca di restare in disparte, lascia al primo ministro Edouard Philippe il compito di gestire la vertenza. Per ora, salvo qualche concessione marginale, il governo ribadisce che manterrà le sue posizioni con calma e fermezza.
I sindacalisti più radicali sono convinti che come in passato anche questa volta gli cheminots finirannno per spuntarla. Hanno trascinato nello sciopero, per alcune ore e forse per alcuni giorni, piloti, netturbini, lavoratori del settore energetico, studenti universitari. Tanti settori della società si sono accodati ai ferrovieri per far valere rivendicazioni o respingere riforme. La percentuale dei ferrovieri che si si sono astenuti dal lavoro si aggira attorno al 30 per cento, con una tendenza al ribasso, a giudicare dal secondo giorno, ma quella che conta è la partecipazione dei macchinisti, e più di tre su quattro hanno scioperato. Sono loro che paralizzano il traffico. Costituiscono il nucleo duro, rappresentano l’ ultima grande corporazione francese, l’unica categoria che ha sempre resistito a tutte le riforme, e che non sembra disposta a cedere al giovane presidente, convinto di poter piegare un vecchio sindacato.
La preparazione a una lenta apertura alla concorrenza privata nella ferrovia, come è già capitato in Italia, è un cambiamento difficile da accettare per una categoria i cui diritti acquisiti sono considerati intoccabili. E tali dovrebbero restare, almeno sulla carta, la qualifica di funzionari pubblici e le rispettive regole pensionistiche. Anche in caso di passaggio a società ferroviarie private. I futuri assunti saranno tuttavia lavoratori come gli altri. La riforma è profonda per una categoria in cui il lavoro si trasmette di padre in figlio. Da qui la decisione di prolungare gli scioperi fino alla fine di giugno. Ma anche Macron conta sui tempi lunghi. La solidarietà per gli scioperanti resisterà difficilmente nel paese privato a singhiozzo dei trasporti nei giorni di lavoro, quando si muovono milioni di uomini e donne, o nei fine settimana o durante le vacanze scolastiche disseminate lungo l’anno e fissate a scacchiera sul territorio nazionale.