La Stampa, 5 aprile 2018
Quei 18 miliardi di euro che pesano sulle promesse di Lega e Cinque Stelle
A voler parafrasare l’ultima fatica di uno dei candidati ministri del Movimento Cinque Stelle dovremmo dire che l’Europa ci sta “prendendo per il Pil”. Lo scarto fra i complicati algoritmi delle istituzioni comunitarie e le intenzioni del governo che verrà si può riassumere in un passaggio del libro scritto pochi mesi fa da Lorenzo Fioramonti: «Gli esseri umani non producono nulla: si limitano a convertire la ricchezza naturale in denaro. E non vale il principio opposto: dal denaro non si può creare ricchezza naturale. La crescita del Pil ricorda uno schema Ponzi elevato a sistema globale». A Bruxelles purtroppo non conoscono altri modi per valutare la qualità della politica economica. E la decisione dell’istituto di statistica europeo di imputare il salvataggio delle banche venete nei conti del 2017 complicherà la vita a chi prenderà in mano la campanella di Palazzo Chigi.
Non è una questione di mera aritmetica: al Tesoro sono convinti che la Commissione europea non calcolerà il costo di quel salvataggio nel cosiddetto «deficit strutturale», l’unico parametro che conta ai fini del rispetto delle regole. Eppure a Roma speravano in un atteggiamento ancora più indulgente, chiudendo entrambi gli occhi su quelle poste.
Proviamo allora a rispondere a questa semplice domanda: quanto vale la manovra cumulata di correzione dei conti che l’Unione chiederà all’Italia entro la fine di quest’anno? Il primo test sarà entro giugno: per allora la Commissione potrebbe chiedere una correzione dei conti di quest’anno fino a tre decimali di Pil, a prezzi correnti quasi cinque miliardi di tagli o nuove tasse da imporre fin da luglio. L’altro appuntamento è in autunno, e non potrà essere eluso: se il governo non troverà 12,5 miliardi, il primo gennaio ci sarà l’aumento automatico di due delle tre clausole Iva, dal 10 all’11,5 e dal 22 al 24,2 per cento. In sintesi: fra giugno e settembre l’Italia deve trovare circa 18 miliardi di euro, pena l’aumento delle tasse sui consumi o l’apertura di una procedura di infrazione. Di fronte a questi numeri cosa resta delle promesse della campagna elettorale? E come si comporterà il probabile governo Cinque Stelle-Lega?
A precisa domanda l’unico disponibile a rispondere è il responsabile economia del Carroccio Claudio Borghi: «Stare dentro questi numeri è insensato, servirebbe solo a deprimere la crescita. O a Bruxelles capiscono cosa è accaduto dopo il 4 marzo, oppure saranno puniti dai cittadini che fra un anno andranno a votare per le europee». Insomma, se la linea sarà questa dopo l’estate lo scontro fra Roma e Bruxelles è garantito. «Dopo il quattro marzo il mondo è cambiato», sospira l’ex premier e presidente della Commissione Romano Prodi. Ma quale sia la direzione che prenderà la storia è ancora difficile dirlo. Lega e Cinque Stelle sono convinti di poter piegare le regole europee alla richiesta di nuova spesa in nome di più crescita e meno debito, eppure nonostante la molta flessibilità ottenuta dal governo Renzi quest’ultimo resta inchiodato poco sotto il 132 per cento del Pil. Per far risultare un piccolo miglioramento alla fine del 2017 (dopo il riconteggio di Eurostat è di appena due decimali), il Tesoro ha varato un’operazione di maquillage contabile, riducendo di oltre un quarto le disponibilità liquide sul conto di tesoreria.
Oggi il debito italiano è un fardello meno pesante di qualche anno fa: quest’anno la spesa per interessi non supererà i sessanta miliardi di euro. E ciò lo si deve al piano Draghi che ha permesso in meno di tre anni alla Banca d’Italia di comprare sul mercato più del 15 per cento dei titoli emessi: il mese scorso sono stati 3,4 miliardi per un totale di ben 337. Per inciso, proprio il tipo di misura invocato dai critici della moneta unica. Ma quel piano è ormai al capolinea. Al massimo entro la fine dell’anno gli acquisti cesseranno, e probabilmente a metà del 2019 inizieranno a risalire i tassi di interesse. L’ultima nota di aggiornamento dei conti varata dal governo Gentiloni lo scorso autunno esorcizza il problema immaginando che nulla cambi fino al 2020. Non sarà così. Al netto delle alchimie politiche, sono questi gli argomenti su cui Sergio Mattarella chiede lumi in queste ore ai candidati premier che sfilano al Quirinale.
Twitter @alexbarbera