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 2018  aprile 05 Giovedì calendario

Intervista a Luca Barbarossa: Roma, er sale che manca non è quello per le buche

“Scrivere da soli può essere inquietante, ti mette di fronte a possibili sconfitte, a cose che non vengono come le avresti volute. La sensazione che provi quando scrivi in dialetto, invece, è di non essere solo. Nella forza espressiva e nella sincerità di quella lingua che ti appartiene, rivedi le generazioni venute prima, il cortile, le partite a pallone. Hai la sensazione di scrivere in corteo”. A Luca Barbarossa non è bastata Passame er sale arrivata settima all’ultimo Sanremo: in dialetto (“o inflessione o parlata o quello che è”) ha composto l’intero album Roma è de tutti. Impegnato in una tournée che tocca i teatri d’Italia, domani sera sarà nella “sua” Radio2 – dove solitamente conduce Radio2 Social Club – per un concerto intimo in radiofonia.
Barbarossa, ci spieghi.
Sarà lo stesso concerto che porto in tour e il primo tempo sarà dedicato al disco. Non è che canto solo questi 11 brani, perché è uno spettacolo teatrale: racconto aneddoti, declamo poesie. Sono della scuola americana, sul palco devi fare intrattenimento.
Sarà nella sua città, per una sorta di anteprima del concerto del 29 giugno all’Auditorium. Roma è “de tutti”, ma è amata e detestata allo stesso tempo…
Anche i romani a volte la detestano. Io stesso non ho perso il senso critico nei confronti della città e di un certo tipo di romanità.
Quale per esempio?
Beh, la storia dei bulbi di tulipano strappati due giorni dopo l’apertura del nuovo parco. Ma cosa facciamo? Giudichiamo Londra perché ci sono state due sparatorie in una notte? Le persone sanno andare oltre il pregiudizio, tutto ciò che ci interessa va al di là del senso comune. Siamo cercatori di eccezioni.
Ma la romanità le è mai stata contestata?
Le persone che mi seguono mi somigliano molto, sono sicuro che con molte di loro potrei tranquillamente uscire a cena. L’altra sera a Milano erano tutti in piedi a cantare Passame er sale e lì ho capito che il mio amore per Milano è ricambiato.
Però lei canta Roma.
La Capitale di tutti. E mi piacerebbe che tutti partecipassero alla sua bellezza in maniera costruttiva. In Italia stiamo attraversando un periodo molto pericoloso dal punto di vista politico: nessuno riconosce più la dignità dell’avversario. Roma è stata il laboratorio dello scontro, tutti a dire: “Mo’ governi tu, facce ride, voglio vedere che combini”. La stessa cosa che il Pd sta facendo a livello nazionale. Parlo da cittadino che si sente danneggiato da questo gioco delle parti: dovremmo partire dal riconoscimento della dignità di chi non la pensa come noi. Come al tempo dei padri della patria.
Ma non si vedono padri della patria in giro.
E allora bisogna che questi si mettano a studiare, uno deve aspirare al meglio. Se perdiamo la sfida di Roma ci rimette il Paese intero. Non può essere un posto dove la cosa migliore da fare è tappare le buche, sempre che si riesca.
Ha portato il romanesco sul palco dell’Ariston. Coraggio o incoscienza?
È stata una cosa de panza. Un po’ di coraggio ci vuole sempre, anche nel nostro piccolo mondo. Ma non me ne prendo il merito, né tento di dare motivazioni intelligenti: in realtà sono stato posseduto (ride), le canzoni mi hanno scelto, come sempre. Fin da ragazzino, in famiglia o con gli amici, ho cantato le canzoni romanesche, alcune bellissime. Ma avevo sempre scritto in italiano. Stavolta tutto è cominciato per gioco: un giorno ho chiesto a un amico come stesse e lui mi ha risposto “Da non morì mai”. È stata la prima canzone che ho scritto.
Com’è stato il Sanremo di Baglioni?
Bellissimo, e non lo dico per fare il ruffiano con Claudio. Sanremo è il Festival della canzone italiana, ma è anche il più grande evento televisivo dell’anno. Far convivere queste due anime non è facile. Baglioni ha eliminato gli effetti speciali e gli spargimenti di sangue, restituendo alla musica la sua centralità. È stato un azzardo premiato dai telespettatori.
Il suo pubblico è formato da… quante generazioni?
Sono rimasto stupito perché Passame er sale racconta un amore maturo, ma a tanti ragazzi è piaciuto. Io non ho mai strizzato l’occhio a una categoria di pubblico, quello che canto deve riguardare me, deve essere filtrato dalla mia sensibilità. E questo evidentemente coinvolge anche gli altri.
Primo maggio, Roma e Taranto: lei ha condotto entrambi. Quest’anno per chi tifa?
La festa dei lavoratori non può vivere di competizioni. Se fossi la Rai farei delle finestre su tutte le grandi manifestazioni musicali del Primo maggio: un collegamento continuo, da Palermo a Taranto, da Roma a Torino.
Barbarossa, lei è cantautore, conduttore radiofonico, presentatore. In quale definizione si ritrova di più?
Padre di famiglia (ride). Ho tre figli e non posso dimenticarlo, le loro età diverse – 18, 15 e 8 – mi aprono finestre sul mondo. Ho una bella famiglia e sono fortunato: nella vita ho fatto tutto quello che mi piace.