la Repubblica, 4 aprile 2018
Erkki Liikanen, un ex falco in corsa per la Bce
BERLINO Assumere un ruolo come quello di presidente della Banca centrale europea non richiede soltanto uno straordinario fiuto economico e un istinto spiccato per i mercati, ma soprattutto una raffinata capacità diplomatica. Tre arti in cui Mario Draghi ha dimostrato di eccellere. Non solo per aver evitato il collasso dell’euro nel 2012 e la deflazione nel 2015; in un’Europa sempre più divisa e corrosa dai populismi, il presidente della Bce ha tenuto insieme quasi sempre i diciannove banchieri centrali e il comitato esecutivo.
In rare occasioni sono emerse – poche – voci contrarie alle misure straordinarie di politica monetaria e tra un anno e mezzo Draghi consegnerà al suo successore un consesso tutto sommato armonioso e funzionale. Una rarità, nella rissosa Ue a 27. Ma anche nell’eurozona che ormai si spacca continuamente non solo tra nord e sud ma anche tra est e ovest.
Prevedibilmente i mercati potrebbero innervosirsi, con l’avvicinarsi del passaggio di consegne alla poltrona più alta della Bce, se avessero la sensazione che il prossimo guardiano dell’euro fosse più divisivo e meno diplomatico.
Ecco perché le quotazioni di Erkki Liikanen stanno salendo. Non soltanto perché il finlandese ha smesso da tempo di fare il “falco” nel consiglio direttivo.
In un’intervista con il Financial Times, il governatore della Banca centrale finlandese non ha commentato l’ipotesi di una sua successione a Draghi. Ma ha dimostrato di essere all’altezza della sua nomea di governatore abile e diplomatico: ha ammesso che gli aumenti dei tassi di interesse decisi dalla Bce nel 2008 e nel 2011, quando la valanga dei mutui subprime stava già travolgendo la finanza globale, sono stati un errore. Difficile che un falco ammetta una cosa del genere.
A Berlino, come ampiamente raccontato da questo giornale, non c’è un attaccamento eccessivo all’idea di candidare il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann.
Anche se va detto che la riflessione è ancora da fare e che nella testa di Merkel si incrocia con la complessa partita delle nomine europee.
All’ex consigliere della cancelliera non mancano le capacità diplomatiche. Molti, però, e non solo a Berlino, non dimenticano che si è opposto – anche con molto rumore – a due misure che hanno salvato l’euro e l’inflazione, lo scudo anti-spread Omt e il Qe. E in una recente intervista, sempre al quotidiano britannico, non è stato molto sottile. Quando la giornalista gli ha chiesto chi preferiva, tra Merkel e Draghi, Weidmann ha risposto la cancelliera, perché «ha un approccio molto analitico».
Come se il presidente della Bce non l’avesse. Di lui, ha ammesso Weidmann, ammirerebbe «la cultura».
Per il governo tedesco il prossimo presidente della Bce dovrà essere in ogni caso un rappresentante dei Paesi nordici, come ripetono dalla cancelleria e dal ministero delle Finanze da mesi, ma non necessariamente un connazionale. Un modo per sbarrare la strada anzitutto all’ipotesi di un altro francese, che Emmanuel Macron aveva portato avanti per un po’, prima di innamorarsi dell’ipotesi di mettere una fiche sulle altre poltrone della Ue come la presidenza della Commissione. E intanto, in pole positition per la Bce è avanzato, oltre a Liikanen e al suo connazionale, l’ex Commissario europeo Olli Rehn, un altro banchiere centrale nordico, proveniente oltretutto da un alleato strettissimo della Germania: Klaas Knot, governatore della Banca centrale olandese. Ma la corsa è ancora lunga.