La Stampa, 4 aprile 2018
Canale di Suez l’epopea con omissis
Porto Said, 17 novembre 1869: Alì Pascià, viceré d’Egitto, dà il via con una fastosa cerimonia ai festeggiamenti per l’apertura del Canale di Suez. L’imperatrice Eugénie, accompagnata da Ferdinand de Lesseps, responsabile della colossale impresa, precede a bordo della sua nave, L’Aigle, le imbarcazioni che trasportano gli altri ospiti eccellenti.
Fra le teste coronate chiamate alle celebrazioni, c’è Francesco Giuseppe ma non la regina Vittoria (gli inglesi temono l’influenza francese in questa regione situata sulla via dell’India), che declina l’invito, così come il sultano dell’Impero ottomano (di cui l’Egitto faceva parte) il quale – non avendo ottenuto garanzie per la neutralità del canale – non aveva dato il suo consenso al taglio dell’istmo. I festeggiamenti, interrotti dalla guerra franco-prussiana, raggiungeranno l’apice solo due anni dopo, alla vigilia del Natale 1871, quando nel Teatro dell’Opera del Cairo verrà rappresentata per la prima volta l’Aida, composta per l’occasione da Giuseppe Verdi.
Sono proprio le trombe dell’Aida ad aprire il percorso della mostra «L’epopea del Canale di Suez», fino al 5 agosto all’Istituto del Mondo Arabo di Parigi. Un’esposizione che secondo Pierre Mollard, uno dei curatori, vuole ricreare l’esotica atmosfera di egittomania caratteristica di quegli anni, con pitture, incisioni e fotografie d’epoca; e illustrare, con numerosi filmati, gli eventi storici che condussero il Canale di Suez – simbolo del connubio fra Oriente e Occidente nell’ideologia della corrente economico-filosofica sansimoniana («Il letto nunziale tra Oriente e Occidente») – a diventare soprattutto un simbolo dell’egemonia coloniale occidentale, nonché l’epicentro della questione mediorientale.
Dal tempo dei faraoni
L’importanza capitale di una via d’acqua che collegasse il Mediterraneo al Mar Rosso era chiara fin dall’antichità. Il faraone Sesostri III aveva fatto unire il Mar Rosso al Delta del Nilo nel 1850 a.C.; Dario I nel 500 a.C. aveva perseverato nell’impresa, cui si era appassionato anche Traiano, il quale cercò di ripristinare il canale, dopo che nel 30 a.C. Cleopatra, in fuga dopo la battaglia di Azio, vi era rimasta insabbiata con la sua flotta. Molti secoli dopo ci riprovò senza successo la Serenissima, e verso la metà del ’500 persino un avventuriero di origini calabresi, Uluc Alì, che aveva aderito alla religione musulmana diventando il miglior ammiraglio della flotta ottomana. Il sogno fu poi accarezzato da Napoleone (in chiave anti-inglese), ma l’imperatore cambiò idea perché i suoi ingegneri avevano erroneamente calcolato che tra i due mari c’era un dislivello di dieci metri.
Una gigantesca maquette del canale, creata per l’Esposizione Universale del 1878, permette a chi percorre la mostra di ammirare i 164 chilometri dell’azzurro nastro d’acqua, da Suez a Ismailia, fino a Porto Said: un tracciato diretto e senza chiuse, concepito da Luigi Negrelli, l’ingegnere italiano che ebbe un ruolo decisivo nella soluzione del problema di Suez. Peccato che l’esposizione ignori l’uomo-chiave del progetto, per sottolineare invece la figura di Férdinand de Lesseps, personaggio determinato, energico e spregiudicato che riuscì fra innumerevoli difficoltà a finanziare l’opera portandola a termine, e al quale saranno attribuiti in seguito tutti i meriti, anche quelli scientifici.
Lesseps, parente della futura imperatrice Eugénie, era arrivato al Cairo come diplomatico nel 1832. Diventato maestro di equitazione e amico di Said Pascià, figlio del viceré Mehmet Alì, dopo la morte di quest’ultimo (contrario all’istmo in quanto temeva che una volta terminata l’opera «gli inglesi avrebbero montato le porte al canale e intascato le chiavi») Lesseps poté dare inizio, con l’appoggio del nuovo sovrano, all’appassionante impresa. La firma per la concessione dei lavori ebbe luogo al Cairo nel 1855 con una solenne cerimonia.
La risata di Nasser
Per il finanziamento furono emesse azioni da 500 franchi oro, acquistate da grandi nazioni e da piccoli risparmiatori. Il 25 febbraio 1859 Lesseps diede il primo colpo di piccone, mentre Luigi Negrelli, che doveva dirigere il cantiere, era morto da pochi mesi. Un altro ingegnere italiano, Pietro Paleocapa, a sua volta vittima della damnatio memoriae che sembra a tratti percorrere la mostra, elaborò i piani per evitare gli insabbiamenti. Migliaia di fellah reclutati dal governo e costretti ai lavori forzati (all’inizio con badili, picconi e carriole) morirono durante i dieci anni che durò l’impresa. Di sete, di fatica e di epidemie. A questi orrori seguiranno le prodezze tecniche e le rivoluzioni tecnologiche, simboli del progresso in pieno sviluppo: macchine a vapore, scavatrici gigantesche e monumentali daghe galleggianti.
L’Egitto possedeva inizialmente il 44% delle azioni della Compagnia di Suez, ma – schiacciato dai debiti – dovette in seguito cederle alla Gran Bretagna, che in questo modo riuscì a dribblare la Francia mantenendo il controllo della situazione per settant’anni. Da allora il Canale divenne la posta in gioco nella lotta per l’indipendenza egiziana, e il punto focale dei confronti strategici internazionali. La famosa risata di Nasser, che nel 1956 lo nazionalizza, riecheggia nei filmati che abbondano alla mostra. Il fallito complotto di Francia, Inghilterra e Israele per occupare l’Egitto e riportare Nasser «alla ragione» viene bloccato dagli americani e dai sovietici, e volta la pagina del colonialismo franco-britannico, aprendo la strada ai nuovi equilibri della Guerra Fredda.