La Stampa, 1 aprile 2018
Tramonta il mito del Far West. I cowboy in via di estinzione
Il cowboy, quella figura leggendaria a cui associamo l’essenza stessa degli Stati Uniti, è un mito in via di estinzione. Questa però non è la storia romantica di John Wayne che lega le redini del cavallo al recinto del suo ranch, e si avvia verso il viale del tramonto a bordo di un pickup, ma piuttosto una sfida insieme economica, politica e culturale sul senso e il futuro dell’America.
Dopo la Guerra Civile, quando il prezzo della carne saliva quasi come quello dell’oro, molti avevano scelto di spingersi verso la frontiera del Far West per dedicarsi all’allevamento. Il sistema sviluppato negli anni si era basato su una porzione limitata di terra venduta ai privati, per costruire i loro ranch, e una molto più ampia rimasta nelle mani del governo federale, che la concedeva agli allevatori per pascolare. Questo modello però sta entrando in crisi, come ha denunciato il «Wall Street Journal», generando una battaglia per la terra che i cowboy stanno perdendo, obbligandoli spesso a cambiare mestiere. Il fenomeno non è necessariamente un danno, secondo gli ambientalisti, perché aiuta a preservare il futuro degli spazi ancora incontaminati del Paese. Ma innesca uno scontro politico e culturale, dove l’amministrazione Trump ha preso posizione a favore dei cowboy, un po’ perché ne condivide la cultura, e un po’ perché la battaglia avviene in Stati tradizionalmente repubblicani.
La maggior parte delle terre pubbliche si trova nella regione degli Usa a Ovest di Texas, Oklahoma, Kansas, Nebraska, South e North Dakota. Per capire le proporzioni, il governo federale è proprietario del 79,6% del Nevada, contro solo 1,8% del Texas. Gli allevatori pagano spiccioli per pascolare sulle terre pubbliche, circa un dollaro e mezzo a capo per mese, contro i 20 dollari richiesti in quelle private, e così sopravvivono sussidiati dallo Stato. I loro spazi però si stanno riducendo, perché da una parte aumentano le zone destinate a diventare parchi e riserve per la conservazione e il turismo; e dall’altra si moltiplicano regole, multe e limitazioni, per evitare la devastazione dei terreni. Così, dal 1979 al 2016, i ranchers permessi dal Bureau of Land Management sono scesi da 22.000 persone con 12 milioni di capi, a 18.000 con 7 milioni di animali. In totale i capi allevati negli Usa sono 95 milioni, e quindi la grande maggioranza cresce nelle strutture industriali private. I cowboy a cavallo nelle praterie gestiscono meno del 10% dell’attività complessiva, ma hanno un peso per ragioni culturali e politiche. Rappresentano infatti un mito fondante del Paese, e un’ideologia libertaria contraria a qualunque forma di ingerenza da parte dello Stato. Infatti spesso si sono scontrati con le autorità federali, come ad esempio era successo in Nevada quando Clive Bundy si era rifiutato di pagare la tassa per il pascolo, o nel 2016 in Oregon, quando i suoi figli Ammon e Ryan avevano occupato il Malheur National Wildlife Refuge per «restituirlo ai legittimi proprietari». Questa naturalmente è una strada impercorribile. Primo, perché volendo fare i pignoli, i legittimi proprietari sarebbero gli indiani, che nei film western erano selvaggi spietati, ma nella realtà erano le vittime della colonizzazione. Secondo, perché trasferire queste enormi proprietà dal governo federale ai singoli Stati, oppure ai privati, sarebbe un’operazione troppo costosa e poco funzionale.
In via di principio, l’amministrazione Trump starebbe con i cowboy. Perché il presidente stesso aveva elogiato «lo spirito» di Clive Bundy, e i repubblicani sono ideologicamente favorevoli a ridurre i poteri del governo federale in favore degli Stati. È noto poi che il capo della Casa Bianca spinge per lo sfruttamento delle risorse naturali, mentre è scettico verso gli ambientalisti. Sul piano culturale, infine, basti sapere che il segretario all’Interno Ryan Zinke, cioè la persona responsabile dell’intero dossier delle terre pubbliche, si era presentato al suo primo giorno di lavoro nel ministero in groppa ad un cavallo. Il problema però è che il vecchio modello non è più sostenibile, e i cowboy sono destinati ad avviarsi sul viale del tramonto, a parte i pochi che la benevolenza pubblica deciderà di salvare dall’oblio come reliquia del passato.