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 2018  aprile 01 Domenica calendario

Fecondazione assistita di Stato. In Israele fanno figli pure i morti

Per un popolo perennemente a rischio di estinzione, avere figli è, più che una questione di diritti, un dovere. Così, per lo Stato di Israele, l’etica legata alla natalità è più sbrigativa che per noi, o per gli inglesi, o per gli spagnoli. Lo spiega il settimanale tedesco Der Spiegel raccontando il fenomeno, che sta dilagando in terra di Davide, dei figli nati dallo sperma conservato di uomini morti. In azioni militari, per malattia, in incidenti. Sono già una cinquantina, e sono almeno altri 5000 gli uomini, la maggior parte soldati, che hanno sottoscritto questa scelta nel loro testamento biologico. Il primo «padre dall’aldilà» è stato un soldato ucciso da un cecchino nella Striscia di Gaza, nel 2002: la madre prelevò lo sperma dal cadavere entro 72 ore, il processo durò otto anni, ma alla fine i genitori ottennero il permesso di utilizzare lo sperma e ora hanno un nipote. 
Se a noi può sembrare contro natura, in Israele è da molti sentito come una necessità. È stata Irit Rosenblum, avvocato di diritto di famiglia, fondatrice nel 1998 dell’organizzazione New Family (con cui «applica i diritti umani alla vita famigliare»), a dare la spinta perché fosse legalizzata la fecondazione in vitro post mortem. 
«BANCA BIOLOGICA» 
Mossa dalla convinzione che la genitorialità è un diritto, la Rosenblum sponsorizza l’uso della fecondazione e dell’inseminazione artificiale, la maternità surrogata, il congelamento degli ovuli e il recupero postumo degli spermatozoi. Ha inventato The Biological Will (il testamento biologico) e la prima e unica banca biologica del mondo per aiutare i malati terminali, le famiglie in lutto, i soldati a creare la loro eredità biologica. 
Israele è un Paese che si sente minacciato nella sua stessa esistenza e avere figli è una sorta di dovere civico (anche i single e gli omosessuali vengono espressamente incoraggiati ad avere bambini). È una nazione in cui le persone si sentono più vicine alla morte (la stessa Rosenblum sostiene di aver intrapreso questa battaglia perché figlia di sopravvissuti all’Olocausto), i figli sono considerati importanti tanto da avere il più alto tasso di natalità tra i Paesi industrializzati del mondo. Il numero annuo di nascite degli ebrei israeliani in vent’anni è cresciuto del 65% e le donne israeliane hanno in media 3,09 figli. 
La fecondazione in vitro (FIV) è pratica comune e finanziata dal governo. Anche gli ultraortodossi l’hanno adottata. E questo perché per la fede ebraica il cosiddetto «stato di persona» comincia con la nascita, non con la fecondazione. La procedura non incontra nessun problema dal punto di vista teologico, anzi sta scritto nella Genesi «siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra». Come, non importa. 
PATERNITÀ POSTUMA 
Soprattutto quando tale processo coinvolge i soldati, il desiderio della famiglia (in particolare i genitori del soldato) di agire in nome del figlio, per portare sollievo al loro lutto, e per fornire continuità al defunto è molto intenso, e forte è la responsabilità collettiva della società e la solidarietà nei confronti del soldato e della sua famiglia. 
Ciò è enfatizzato nella spiegazione della legislazione proposta alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme: «Lo Stato di Israele ha un obbligo morale verso famiglie in lutto che hanno perso ciò che è più prezioso per loro. La responsabilità dello Stato che manda i suoi figli a difendere la sua sicurezza (...) deve essere espressa anche nella possibilità di avvalersi di tecnologie avanzate che consentano alle famiglie in lutto di avere figli dei defunti e di mantenere la continuità [del soldato morto]». 
Nonostante questo, non mancano le polemiche. L’avvocato Irit Rosenblum viene accusata di non accettare la finitezza della vita e di giocare a fare Dio; lei risponde che si onorano «degli idioti che hanno creato solo morte, come Napoleone. Perché non dovremmo ringraziare l’inventore della fecondazione in vitro che ha permesso la nascita di più di 7 milioni di bambini?».