Il Messaggero, 1 aprile 2018
Dopo i Pagliacci, un musical arabo: in Oman l’opera si trasforma in dialogo
MUSCAT Giocolieri e personaggi di malaffare, donne vistose e ragazzini da vicolo, protagonisti dei Pagliacci di Leoncavallo in tournée con il Teatro dell’Opera di Roma, hanno occupato con costumi, panni stesi e scene circensi quasi felliniane la Royal Opera House di Muscat. Coinvolgendo, in una serata storica, un pubblico internazionale di ambasciatori (l’italiano Giorgio Visetti) e finanzieri (il russo Shestakov con la moglie Svetlana), manager (il responsabile di Eni in Oman, Lorenzo Casati) e autorità del Golfo, donne velate e donne scollate. Con bambini omaniti che hanno fatto da comparse nello spettacolo nato dalla fantasia di Zeffirelli e signore musulmane che hanno applaudito femmine con il coltello, in rivolta contro mariti gelosi e violenti. Una contaminazione inedita di culture, gusti e tradizione che ha preso forma già nel foyer, in marmi di Carrara con legni pregiati intarsiati come merletti, con signore, a capo scoperto o velato, ospiti in abiti occidentali o arabi, ma tutti con un’aria di gran festa. «I transessuali che Zeffirelli aveva immaginato in scena – racconta Raimonda Gaetani, costumista e storica collaboratrice del maestro – sono diventati guappi, alle minigonne delle prostitute abbiamo aggiunto qualche drappo e sono scomparse le bottiglie di alcolici dal bar sul palco. Ma per il resto tutto è rimasto intatto». «È stata una profonda emozione essere accolti con questo entusiasmo», aggiunge il sovrintendente dell’Opera di Roma Carlo Fuortes, «ed essere riusciti con musica e immagini a tirar giù qualsiasi barriera».
E questa sala araba, che venne inaugurata proprio da Zeffirelli nel 2011 con una Turandot sfarzosa, è stata voluta dal Sultano del Paese per offrire alla sua popolazione l’opportunità di guardare oltre il confine. «Proiettandola nel futuro – spiega il direttore Umberto Fanni – grazie a una tecnologia avanzatissima e a una programmazione che mescola tradizione e innovazione. La nostra Royal Opera House ha fatto da apripista a tutte le altre sale del Golfo che stanno inaugurando. Anche da noi è partito un cantiere per raddoppiare gli spazi, creare un museo di strumenti e documenti musicali e soprattutto fondare una scuola per preparare gli artisti di domani».
L’EDIFICIO
Al momento possono già contare su un teatro maestoso. Quasi 80mila metri quadrati, tra edificio e giardini, più di mille poltrone in velluto rosso e un organo imponente di 4.500 canne. Interni lussuosi che strizzano l’occhio ai fasti del passato, acustica miracolosa e macchine di scena avveniristiche in grado di trasformare in pochi minuti palco e buca. Un apparato ineccepibile che ha consentito ai 230 artisti e tecnici in trasferta dell’Opera di Roma di dare vita a una serata a suo modo unica. E integrata con questo monumento della città che vanta in cartellone 52 eventi e più di cento alzate di sipario, tra balletto, sinfonica, lirica e spettacoli della tradizione locale. Con una scelta di titoli che deve far combaciare curiosità e cultura araba in sorprendente mix: Così fan tutte di Mozart, sì, Don Carlos, no, Traviata nì, Italiana in Algeri sì. E che presto includerà repertorio operistico arabo. Un primo esperimento sta per debuttare: Celebreting Oman, una sorta di musical con la regia di Livermore, ispirato a Orfeo e Euridice.
Un’operazione culturale innovativa fortemente voluta dal Sultano dell’Oman, che in quasi 50 anni di regno ha portato il Paese alla modernità: laureato in Inghilterra e musicista, ha reso obbligatoria e gratuita l’educazione scolastica, ha aperto 400 presidi sanitari, dona appezzamenti di terra a ogni omanita che viene al mondo, proprietario lui stesso di un’orchestra di 110 elementi che suona prevalentemente nel suo palazzo. Il cantiere della Royal Opera House venne avviato quasi contemporaneamente a quello della moschea, a pochi chilometri l’una dall’altra: le due anime gemelle del domani.