Il Messaggero, 3 aprile 2018
Spotify, la rivoluzione sbarca a Wall Street
Oggi è il giorno del debutto a Wall Street di Spotify, la società svedese nata nel 2008 che ormai da qualche anno, anche in Italia, è sinonimo dell’ascolto della musica in streaming. Non è certo la prima volta che un’ex-startup operante su Internet si quota in Borsa, ma in questo caso ci sono una serie di motivi per cui la quotazione diventa un evento cruciale, capace di condizionare l’intero mercato musicale mondiale. Spotify è presente in 65 paesi e ha 157 milioni di utenti, 70 milioni dei quali sono iscritti alla versione a pagamento (9,99 euro al mese). Sulla piattaforma sono presenti 35 milioni di canzoni e oggi il peso dello streaming sulle hit parade è preponderante, basta vedere i successi in Italia di Sfera Ebbasta e Coez (oltre 36 milioni di ascolti per La musica non c’è).
I CONTI
A fronte di questi numeri, Spotify continua ad essere in perdita: il fatturato è di 4,09 miliardi di euro e le perdite nel 2017 sono state di 1,23 miliardi di euro (contro i 539 milioni del 2016). I margini sono molto bassi perché la maggior parte del denaro ricavato (circa il 75%) serve a pagare i diritti d’autore agli editori e alle case discografiche.
Spotify, oltre ad avere rivoluzionato il nostro modo di ascoltare la musica, eliminando in gran parte dei casi il cd, e basando l’ascolto musicale su smartphone e pc, ha anche salvato l’industria musicale dopo un momento in cui sembrava che la pirateria e lo streaming illegale avessero la meglio; peraltro lo stesso Daniel Ek, fondatore ed attuale Ceo, prima di fondare Spotify aveva creato Kazaa, un servizio web che in pratica aveva le stesse funzioni di Napster, il programma di file sharing in cui gli utenti potevano scambiarsi mp3 liberamente. Oggi però Spotify deve riuscire a salvare se stessa, trovando un modello di business che funzioni, e la quotazione a Wall Street è il segnale che qualcosa sta per cambiare. Un altro problema per Spotify si chiama Apple: la società di Cupertino dopo esser stata la più importante promotrice del download legale della musica attraverso iTunes, nel 2015 ha fondato Apple Music, servizio di streaming concorrente diretto che oggi ha 36 milioni di utenti paganti, ma che sta crescendo più rapidamente di Spotify. Il fatto però è che Apple ha più soldi a disposizione e usa la musica solo come un mezzo per invitare i suoi utenti a comprare i propri prodotti, quindi si può permettere di operare in perdita, se poi i soldi li riguadagna vendendo gli iPhone.
Alcuni giorni fa però Daniel Ek ha inviato una lettera ai possibili investitori di Spotify contenente un messaggio piuttosto chiaro e rivoluzionario, lasciando intendere che uno dei prossimi obiettivi sarà quello di rendere obsolete le etichette discografiche, mettendo direttamente in contatto gli artisti con i fan. Ad oggi il 90 per cento delle canzoni presenti sulla piattaforma appartengono a tre major discografiche Sony, Universal e Warner a cui Spotify ha versato in tutti questi anni diritti per 9,7 miliardi di euro. È evidente che tagliando fuori le tre major, pagando cioè direttamente gli artisti, avrebbe notevoli risparmi di costi e rivoluzionerebbe il mercato discografico.
LE PROSPETTIVE
Spotify ha però diversi altri modi per guadagnare soldi: potrebbe iniziare a vendere le importanti informazioni che raccoglie sui gusti musicali degli utenti, anche se questo è un argomento piuttosto critico dopo i recenti scandali di Facebook e Cambridge Analytica; potrebbe monetizzare facendo pagare gli artisti per entrare in una delle sue playlist ascoltate da milioni di utenti e che oggi sono determinanti per il successo di un cantante o di una band. Ad oggi si contano sulle dita di una mano le popstar che si possono permettere di non essere su Spotify, tra cui Taylor Swift e Jay Z.
Oppure potrebbe diventare la Netflix della musica, producendo essa stessa contenuti e artisti, anche se questo significherebbe un investimento ulteriore che al momento non può permettersi. Per tutti questi motivi la quotazione a Wall Street rappresenta un passo importante per Spotify e per l’intera industria musicale.