la Repubblica, 3 aprile 2018
Una carezza al robot per invecchiare con più umanità
Raccolgono piccoli oggetti. Tengono tutto sotto controllo grazie a telecamere e sensori. Riescono a eseguire anche semplici esercizi di riabilitazione. Eppure, paradossalmente, il motivo per cui in Giappone i robot si diffondono tanto rapidamente nelle case di cura per anziani (5mila oggi quelle che li utilizzano), è soprattutto la compagnia che garantiscono ai loro ospiti, come dimostra questo servizio fotografico della Reuters.
Siamo in un paese con le sue peculiarità culturali. Qui anche un robot a forma di foca chiamato Paro, che emette un suono pre-registrato quando lo si accarezza, viene apprezzato dagli anziani pazienti. Il cane Aibo, precursore degli animali da compagnia in ferro e bulloni, ha lasciato dietro di sé cucciolate di eredi più tecnologicamente evoluti, tutti ugualmente amati. L’umanoide Pepper ruota le braccia e incoraggia la classe che ha di fronte, impegnata in una sessione di ginnastica.
La passione dei giapponesi per i robot da compagnia è stato spiegato con una letteratura piena di fumetti e anime che ha permeato la cultura. C’è chi ha fatto ricorso all’esegesi shintoista, religione che non faticherebbe ad attribuire anche ai robot uno spirito vitale. Ma una motivazione più realistica arriva dai numeri. E fa capire come mai, fra tutti i settori del welfare, sia l’assistenza agli anziani quella che più sta chiedendo aiuto alla tecnologia oggi.
Il Giappone, come altri paesi, Italia e Germania in primis, ha un’aspettativa di vita lunga e un tasso di fecondità basso. Risultato: un quarto della popolazione ha più di 65 anni. A differenza delle altre nazioni, però, non ha una politica dell’immigrazione capace di tappare i buchi nell’occupazione. I permessi di lavoro sono ridotti, soprattutto per gli impieghi poco qualificati. Ottenerne uno da infermiere (la categoria, nei visti di lungo periodo, è stata introdotta solo nel 2016) richiede un esame severo in giapponese. Alla fine del 2017 ne erano stati emessi solo 18. In un paese da sempre abituato a contare su se stesso, un lavoratore mancante viene costruito, piuttosto che importato.
Il governo giapponese sovvenziona le aziende che producono robot e le case di riposo che li acquistano (con un prezzo di diverse migliaia di dollari, il mercato è ancora lontano dal permeare le case dei singoli individui).
L’obiettivo è fare fronte a una carenza di personale specializzato nelle case per anziani che arriverà a 380mila infermieri nel 2025, con una popolazione bisognosa di assistenza di 30 milioni.
Oggi il mercato della tecnologia robotica applicata al welfare è ancora piccolo: meno di 20 milioni di dollari. Ma le cifre sono destinate a lievitare, i paesi con problemi di invecchiamento della popolazione aumenteranno (Cina, Germania e Italia le probabili destinazioni dei prodotti da export).
Tokyo, in questa partita, resterà probabilmente la nazione da battere.
Ecco allora che la casa di riposo Shin-tomi, quella descritta dalla Reuters, è arrivata a impiegare venti modelli diversi di robot.
Nessuno riesce ancora a lavare, pettinare o fare la barba: spesso i lavori più richiesti nelle case di cura. E proprio questo è l’aspetto controintuitivo della storia: più che un aiuto concreto (i dirigenti della Shin-tomi ammettono che l’impiego della tecnologia non si è tradotto ancora in un risparmio dei costi del personale), ai robot viene riconosciuto un “tocco umano” che garantisce ai pazienti, soprattutto se affetti da demenza o non autosufficienti, piccoli aiuti materiali come raccogliere oggetti, facilitare il passaggio tra letto e sedia a rotelle o assistere nella deambulazione. Oppure o interazioni amichevoli, come nel caso dei robot-animali o di quelli capaci di sostenere conversazioni semplici, ma essenziali per aiutare a sentirsi ancora vivi.