la Repubblica, 3 aprile 2018
L’amaca
Nella venerazione che Matteo Salvini ha per Putin e Trump c’è qualcosa che parla, nel profondo, del cosiddetto “populismo”, specie nella sua variante nazionalista. C’è il cameratismo tra maschi alfa o aspiranti tali (Marine Le Pen, anche se femmina, è del novero) con il culto delle maniere spicce, della parola forte, della decisione che taglia la testa al toro. La democrazia, con le sue collose pratiche di concertazione, di compromesso, di collegialità, di poteri che si bilanciano, è una lagna da lasciarsi alle spalle in favore di una maschia sollecitudine, quella che solo un vero Capo è in grado di offrire in dote alla Nazione.
È un meccanismo psicologico abbastanza primitivo: antico come l’uomo, come il branco, come la tribù. Ma è impressionante come funzioni. Quelli che sorridono, oggi, di Putin che si fa fotografare a torso nudo a cavallo, sono una minoranza: la stessa minoranza che ieri sorrideva quando il Duce, con le mammelle in resta e la pelata che baluginava al sole, dava l’abbrivio alla battaglia del grano. Molti altri, in larghissima schiera, trovano invece che la recita sia credibile e rassicurante, e in assenza del Padre che indica la strada, o di Mosè che apre le acque del Mar Rosso, sopportano quel breve interludio (effeminato) che chiamiamo democrazia.