Corriere della Sera, 30 marzo 2018
Moglie e marito sono parenti? I giudici interrogano la Consulta
Ma la moglie è parente del marito? La domanda, che quando fu proposta la prima volta qualche anno fa sollevò ondate di ilarità, è finita addirittura davanti alla Corte Costituzionale. Che dovrà decidere se sia o no in linea con la Carta la famosa «legge Gelmini» varata contro il familismo nelle università italiane.
Come andasse in passato è noto. Basti rileggere il reportage di Attilio Bolzoni sul suo arrivo all’Università di Bari: «Buongiorno, dov’è la stanza del professore Girone? Girone chi?, risponde spazientito il vecchio custode di Economia e Commercio. Girone Giovanni il Magnifico Rettore o Girone Raffaella che è sua figlia? Girone Gianluca che è suo figlio o Girone Sallustio Giulia che è sua moglie? In ordine, stanza numero 3, stanza numero 26, stanza numero 58, stanza numero 13. E aggiunge, sempre più infastidito: Poi se vuole parlare con un altro parente…».
Per non dire delle cronache su Luigi Frati che, da rettore della Sapienza, si circondò di affetti: la moglie, il figlio, la figlia… O ancora di articoli a pioggia come questo di Lorenzo Salvia: «In due sole facoltà della Federico II di Napoli, economia e giurisprudenza, la confederazione degli studenti ha contato 140 casi di parentela su un totale di 877 professori». O di libri come «L’università truccata» di Roberto Perotti.
Finché arrivò finalmente la Legge 30 dicembre 2010, n. 240 voluta da Maria Stella Gelmini, allora ministro dell’Istruzione, università e ricerca. Che all’articolo 18 metteva un freno alle peggiori abitudini: divieto di accesso ai concorsi universitari per «coloro i quali, alla data di presentazione della domanda, abbiano un grado di parentela o di affinità entro il quarto grado compreso con un professore appartenente alla struttura didattica che richiede l’attivazione della procedura, o con il rettore, o il direttore generale o un componente del Consiglio d’amministrazione dell’Ateneo».
Tutto chiaro? Chiarissimo. Ma non per chi, abituato a un certo andazzo, non si capacitava di dover rinunciare a radunare nei dintorni della propria facoltà di un po’ di parentela. Al punto che ancora a Bari dove Nino Luca in «Parentopoli» aveva contato «Antonella, Fabrizio, Francesco Saverio (vale uno nonostante il doppio nome), Gian Siro, Gilberto, Lanfranco, Manuela Monica Danila (tre nomi ma vale sempre uno) e Stefania. Totale otto Massari: Massari, Massari, Massari, Massari, Massari, Massari, Massari e Massari», fu convocato sul rovello il Senato accademico: la moglie è una parente?
Quattro ore durò la pensosa discussione intorno al quesito. Fino al responso, dettato anche dalla volontà di tanti professori di mostrare come l’ateneo barese fosse deciso a voltar pagina seguendo la legge e il codice deontologico: sì, la moglie è parente. Quindi, se ci sono incompatibilità, non può essere assunta.
Da allora, però, c’è chi non si è rassegnato affatto. E la questione è stata più volte riproposta sulla base di una domanda: se il legislatore voleva escludere la moglie perché non l’ha espressamente nominata nella legge?
La risposta che viene in mente è che la consorte è già compresa nel parentado fino al quarto grado. Sennò, per vietare l’incendio doloso di un bosco occorrerebbe precisare che il divieto vale per abeti, larici, cipressi, castagni, olmi e via via ogni albero del Creato.
Macché: nella scia d’un ricorso a Catania contro un bando per la chiamata di un professore di prima fascia, bando al quale aveva partecipato (vincendo) Daniela Giordano moglie del decano dello stesso dipartimento Alberto Faro, il Consiglio di Giustizia Amministrativa, che in Sicilia ha le funzioni del Consiglio di Stato, ha deciso di non poter decidere.
Per carità, dice la sentenza, non è contestato «il rapporto di coniugio» né il fatto che nel bando erano stati ricordati i paletti fissati dalla legge e dalle regole d’Ateneo. No, a essere contestata è proprio l’interpretazione estensiva data dal giudice di primo grado: «Se la ratio della norma è quella di evitare l’ingresso nelle strutture universitarie o la progressione in carriera dei soggetti legati da vincoli di parentela così stretta con coloro che già vi appartengono (…) è evidente che tale ratio ricorra anche, e soprattutto, nel caso di coniugio». Interpretazione «fermamente avversata dalle difese delle parti appellanti».
Certo, dice la sentenza, «non sfugge al Collegio come l’affinità presupponga il rapporto di coniugio» dato che «senza il matrimonio non vi sarebbe alcun vincolo fra una persona e i parenti del suo coniuge». Ovvio. Fatto sta che la legge «non fa menzione del coniuge, accanto a parenti e affini, come anche non fa menzione delle unioni civili e delle convivenze». Insomma, perché la legge non parla espressamente di moglie e marito?
A farla corta, «la sola via per rimediare ad una simile lacuna» è «dubitare della legittimità costituzionale della norma nella parte in cui non vieta di partecipare ai procedimenti per la chiamata a coloro che sono in rapporto di coniugio…». Precisate, gente, precisate…