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 2018  marzo 30 Venerdì calendario

Nella Disneyland degli artisti dove rivivono Klimt e Vermeer

«Medicina è il dipinto realizzato da Gustav Klimt tra il 1900 e il 1907 raffigurante la dea della salute Igea, dipinto bruciato dalle SS al Castello di Immendorf. Concerto a tre di Jan Vermeer che data 1663-66, rappresenta tre musicisti, il suo valore è stimato 200 milioni di dollari, quadro rubato all’Isabella Stewart-Gardner Museum di Boston nel 1990, l’opera più ricercata del mondo che vede l’Fbi ancora sulle sue tracce. E poi Monet, Sutherland, Van Gogh, Tamara de Lempicka opere d’arte dal valore inestimabile, rubate, sparite, distrutte portandosi dietro un grande mistero mai svelato prima.
Come ovviare a questa perdita terribile di così grande bellezza? Riproducendo nel modo scientificamente più preciso l’opera stessa, servendosi di tutto il materiale a disposizione e ricostruendo con mezzi tecnologici all’avanguardia e personale altamente specializzato quanto di più prossimo si possa ottenere rispetto al capolavoro originale. Un’operazione ardita che può in controluce rivelare dei suoi lati inquietanti facilmente intuibili ma proprio per questo ancora più affascinante. Ecco che nasce Il mistero dei capolavori perduti, sette documentari chiamati a raccontare la storia di artisti alle prese con altrettante opere e altrettante sparizioni. Si tratta, dopo l’Operazione Caravaggio, di una nuova produzione internazionale di Sky Arts Production Hub che punta a una distribuzione internazionale in contemporanea, Italia, Regno Unito, Irlanda, Germania e Austria per una platea potenziale di 21 milioni di famiglie abbonate. Prodotta da Giovanni Troilo e co-prodotta da Ballandi Arts, la serie andrà in onda dal 5 aprile in prima serata su Sky Arte Hd.
Eppure ancor più affascinante delle opere e ancora più misterioso della loro sparizione è il lavoro all’interno della Factum Arte fondata e condotta con piglio energico da Adam Lowe e che ha sede a Madrid, in una sorta di periferia industriale dove sembra di entrare nel mondo dei balocchi famosi. Una Disneyland tecnologica che ri-materializza (guai a parlare di copie) come fosse un Avatar qualsiasi pensiero d’artista, che esso sia un dipinto, una scultura, bassorilievo, calco, gesso e altro ancora.
Una sessione si occupa dell’antico che non c’è più in originale, un’altra, ben più misteriosa, s’incarica di realizzare le opere pensate da giovani artisti e di restituirle loro così come l’hanno immaginate. Un parco giochi per talenti in vita e un sacrario per gli altri non più tra di noi.
Ma che valore hanno queste riproduzioni d’autore? «Il valore di una messa in scena – rispondono i responsabili accreditando la tesi della Disneyland degli artisti – quella di mostrare un’opera che altrimenti si vedrebbe solo in fotografia e dando la possibilità agli artisti di esprimersi. Nelle fasi iniziali abbiamo lavorato sui dipinti per poi avviare un dialogo in grado di fondere passato con presente, così da comprendere meglio il percorso dell’artista. Purtroppo sentiamo attorno a noi molta resistenza e molto pregiudizio. Il problema è che si analizza l’arte attraverso il pregiudizio concentrandosi solo sull’originalità. L’opera d’arte è un processo cangiante, nel tempo cambia la pigmentazione per assumere nel suo complesso altre caratteristiche. Qual è allora quella vera? E chissà che cosa penserebbero i grandi Michelangelo o Caravaggio, se vedessero i loro capolavori esposti lì dove non li hanno pensati e con luci diverse?».
Il quesito è: bellezza o fedeltà? Un interrogativo filosofico che Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte ha risolto salomonicamente mostrando il tratto ricostruito e il tratto non rieditato: «L’idea è di non fermarci solo al racconto ma attraverso la ri-materializzazione accedere all’approfondimento che nei documentari tradizionali non puoi avere. Ma sia chiaro, nessun fraintendimento, il nostro è il lavoro di archeologia, la messa in scena di un fantasma per approssimazione sfruttando la tecnologia. E in un anno e mezzo di lavoro ci siamo riusciti benissimo».