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 2018  marzo 29 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA POLITICAREPUBBLICA.ITROMA. I Cinquestelle provano a portare avanti le loro "consultazioni", prima di quelle ufficiali al Colle

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA POLITICA

REPUBBLICA.IT
ROMA. I Cinquestelle provano a portare avanti le loro "consultazioni", prima di quelle ufficiali al Colle. Ma il dialogo sul governo appare sempre difficile. Le difficoltà emerse nei giorni scorsi nelle trattative preliminari tra centro destra e 5 Stelle riportano in scena il Pd, barriccato all’opposiione. Tenta di stanarlo il candidato premier grillino. "L’unico gruppo che finora si è sottratto al confronto - dichiara Luigi Di Maio in un video postato su Facebook - è il Pd che sta portando avanti la linea del freno al cambiamento. Noi continueremo sulla linea della responsabilità".

Mentre allo scontro sui temi si aggiunge la battaglia sull’elezione dell’ufficio di presidenza alla Camera. I capigruppo del Movimento 5Stelle, Toninelli e Grillo,  hanno incontrato i presidenti dei parlamentari della Lega, Centinaio e Giorgetti. E poi c’è stato il vertice con la delegazione di Forza Italia. Infine il confronto con Leu. A disertare l’appuntamento, Partito democratico e Fratelli d’Italia. Governo, Di Maio: "Convergenze da destra e sinistra, solo il Pd si sottrae. No a premier non eletti" Condividi   Al di là delle dichiarazioni finali di Toninelli - "incontri costruttivi, dialogo sui temi" - con Forza Italia resta lo scoglio del ruolo di Silvio Berlusconi e anche i rapporti con la Lega sono tesi. Lo conferma il profilo twitter del Carroccio per Salvini premier che ritwitta un’intervista a Michele Anzaldi (renziano del Pd, di rito ortodosso). E condivide le dichiarazioni con cui l’esponente dem stronca il reddito di cittadinanza: "Dopo 5 anni di propaganda ora scoprono che si sono sbagliati. Sono senza vergogna", dice Anzaldi. Ma forse Salvini la pensa allo stesso modo?

"DOPO 5 ANNI DI PROPAGANDA ORA SCOPRONO CHE SI SONO SBAGLIATI"
"Per anni hanno promesso soldi, illudendo le persone e speculando sulla pelle di chi non ce la fa. Passata la festa, gabbato lo santo. Vergogna" https://t.co/30EBQj2jI4

— Lega - Salvini Premier (@LegaSalvini) March 29, 2018 Alfonso Bonafede, comunque, smentisce di aver cambiato idea sul reddito di cittadinanza: "La Lega si sbaglia".

Torniamo agli incontri del duo Toninelli-Grillo: "Le altre forze politiche hanno apprezzato la nostra iniziativa di far incontrare tutti i capigruppo per discutere di temi e questa è la prova che quando si parla non di poltrone ma di soluzioni per i problemi dei cittadini e di temi come la lotta alla povertà e il sostegno a famiglie e imprese, anche forze politiche differenti possono dialogare per il bene esclusivo del Paese", ha detto alla fine Toninelli. Ma alla domanda sul dialogo con Forza Italia risponde con una frase sibillina. "Ci sono alcuni aspetti difficili, per noi è imprescindibile una lotta alla grande evasione e una seria legge sul conflitto di interessi". Governo, Toninelli: "Con la Lega disposti a discutere di flat tax, ma su Di Maio nessun passo indietro" Condividi  
La versione di Anna Maria Bernini: "Abbiamo ascoltato le proposte del M5S, noi come centrodestra, forza che ha vinto le elezioni, e faremo a brevissimo le nostre proposte". Bernini deve poi rispondere a una domanda sul ruolo di Berlusconi nelle consultazioni: "Deciderà lui se far parte della delegazione di Forza Italia che salirà al Colle per le consultazioni con il presidente della Repubblica", ha detto.

Rapporto sempre gelido anche tra Pd e Cinquestelle, in questo momento. Ieri il segretario reggente, Maurizio Martina, ha spiegato la scelta di disertare l’incontro: "Il Partito Democratico di certo non parteciperà a nessun incontro sui programmi. Noi attendiamo con rispetto prima di tutto le consultazioni del Presidente della Repubblica", ha detto. Ma il partito non è compatto sulla linea del "tocca a loro", senza se e senza ma, sposata da Renzi. E una fronda si apre su un tema di merito: riunire i gruppi prima o dopo le consultazioni al Colle?

QUANDO RIUNIRE I GRUPPI
ROMA - Continua la fronda all’interno del Pd: dopo la débacle subita sulle mancate nomine dei Questori di Camera e Senato, cresce la tensione tra i big del partito. Il mal di pancia ha il più evidente sintomo nella diatriba sollevata in particolare da Dario Franceschini (poi sposata da Andrea Orlando) su una questione formale.

Ovvero se convocare i gruppi Pd di Camera e Senato prima del quattro marzo (come invocato dai ministri della Giustizia e dei Beni Culturali) per chiarire la linea politica dem quando i partiti saranno ricevuti al Colle per discutere sul governo. Oppure se convocare la riunione dei gruppi dei due rami del Parlamento solo all’indomani delle consultazioni col Quirinale, come replica il coordinatore Lorenzo Guerini.

Il segretario reggente Maurizio Martina sta mediando tra le varie anime dem, anche se la sua idea è di convocare i Gruppi e la direzione all’indomani delle consultazioni al Quirinale per un confronto interno. E, soprattutto, per fare il punto della situazione. Il senatore Matteo Renzi, dal canto suo, conferma la ’sua’ linea politica: "La situazione politica è chiara: il Pd starà all’opposizione. E stando all’opposizione potrà dare un aiuto al Paese portando un clima di civiltà e rispetto del Governo che nei nostri confronti purtroppo non c’è stato". "L’opposizione si può fare bene - aggiunge - come spiega splendidamente Pierluigi Castagnetti, e può farci bene, molto bene".

A sollevare il caso, stamattina, durante la riunione pd alla Camera che aveva all’ordine del giorno la votazione per gli uffici di presidenza, sono stati Franceschini prima e Orlando poi. Franceschini non è certo un esponente della minoranza dem (al contrario di Orlando): per questo la sua presa di posizione assume un rilievo particolare, segno comunque di movimenti all’interno del partito democratico in questo momento ancora difficili da decifrare.

"Il Pd è stato troppo silente, va bene la linea di opposizione ma in questi giorni la situazione è evoluta e per questo bisognerebbe discutere nei gruppi", è stato il senso del ragionamento fatto dal ministro della Cultura. Una linea simile a quella di Orlando che, pur ribadendo la scelta dell’opposizione, ha sottolineato il fatto che il Pd dovrebbe definire la sua agenda prima di salire al Colle.

Già nel corso dell’Assemblea era stato Guerini a replicare anticipando la scelta poi formalizzata dal segretario reggente (gruppi e Direzione dopo le consultazioni). "I gruppi - aveva dichiarato - devono discutere ma è utile riunire gli organismi dopo la consultazione per valutarne l’esito".

CDS VERDERAMI

Ma quanto è successo l’altra notte l’ha colpito: il cambio di atteggiamento dei grillini sulla spartizione delle cariche per gli uffici di presidenza di Camera e Senato, era all’apparenza una mossa incomprensibile. Lì per lì, mentre Giorgetti si dannava al telefono per cercare una soluzione e denunciava ad alta voce la rottura del patto «che voi avete proposto», Salvini interpretava quell’attacco di bulimia come un delirio di potere: «Manco i socialisti...». Poi ha maturato il convincimento che si trattasse di una manovra politica: ottenere la maggioranza in quegli uffici, specie tra i questori, significa poter incidere sui vitalizi, sulle indennità dei parlamentari, e intestarsi la vittoria contro la casta.

Sarebbe un blitz a saldo positivo per M5S, che potrebbe dire di aver portato a compimento una parte del programma senza bisogno di sciogliere il nodo politico. Il sospetto che «invece di puntare al governo del Paese stiano puntando al governo delle Camere per tornare al voto», e con lo scalpo, ha preso corpo nella riunione di centrodestra svoltasi al Senato. A Palazzo Madama era ormai impossibile contrastarli, si vedrà se oggi a Montecitorio verranno prese delle contromisure.

E nonostante sia prevalsa l’opinione che i grillini restino dei «doppiogiochisti», Salvini ha fatto buon viso a cattivo gioco: oggi andrà all’incontro chiesto da M5S sul programma insieme a Forza Italia, senza FdI. Berlusconi vuole credere all’accordo per evitare il ritorno immediato alle urne. Ma se Di Maio non lo «bacerà», non ci saranno molte altre strade da esplorare: rischia il senso unico. E magari sospetterà di Salvini.. .

LEGA

In Lega, l’immagine suggerita nei confronti dei grillini è tagliente: «I kamikaze». La teoria è emersa martedì alla cena dei i parlamentari leghisti. Al ristorante «Gusto», presente anche la compagna di Salvini Elisa Isoardi, tra i commensali circolava una teoria che si può riassumere con le parole di un deputato: «Salvini è il segretario della Lega, davanti, ha tutto lo spazio che vuole. Eppure sta dimostrando di lavorare per un accordo pagando anche prezzi vistosi: la rinuncia alla presidenza di una delle Camere». Per Di Maio, il punto di vista è esattamente opposto: «Lui — prosegue il leghista — è un “leader di scopo”: il suo mandato è quello di diventare presidente del Consiglio. Se portasse i grillini al governo, sia pure senza essere premier, avrebbe un futuro. Senza questo, perde tutto: Salvini avrà altre chance, lui no».


FOLLI SU REP

Stefano Folli Andiamo al governo per cambiare il paese!» assicura una nota dei gruppi parlamentari del M5S pubblicata sul Blog delle stelle. Ma in calce, tra i commenti dei lettori, si legge: «Non so se prevarrà il buonsenso o la smania incontenibile di Di Maio di fare il presidente del Consiglio. Se dovesse prevalere questa spinta a fare un governo con Salvini e Berlusconi a qualsiasi titolo, cancello il movimento dalla mia vita. La realpolitik non è per me: prima la coerenza. Meglio altri cinque anni all’opposizione». Con varie sfumature, questa è l’opinione largamente prevalente fra gli elettori. Ma c’è un’altra presa di posizione, sempre sullo stesso blog dei Cinque Stelle. È di Andrea Roventini, indicato prima del voto da Di Maio come potenziale ministro dell’Economia. Il giovane professore scrive a proposito delle nomine nella galassia delle società partecipate e garantisce che il tema sarà affrontato con «competenza, trasparenza e onestà». Fin qui siamo alle consuete parole d’ordine. Tuttavia Roventini introduce un interessante distinguo: «Le nomine – sottolinea – non sono un’occasione per fare tabula rasa. Invece bisognerà pragmaticamente verificare i risultati ottenuti dai vertici uscenti caso per caso, considerando gli obiettivi e il contesto competitivo e normativo. Non si dovrà avere paura di riconfermare i manager che hanno ben operato e di congedare quelli che hanno deluso». In sostanza qui si colgono due indirizzi strategici opposti. Il primo dice «andiamo a governare»: con oltre il 32 per cento l’orizzonte non può essere un’altra legislatura all’opposizione (e pazienza se il Pci, ai suoi tempi, con percentuali non dissimili rimase all’opposizione per una trentina d’anni prima della “solidarietà nazionale”). Andiamo a governare promettendo moderazione. Il programma di Roventini, che sembra escludere qualsiasi tentazione di “spoil system”, è volto a rassicurare la galassia dei poteri pubblici, dalle partecipate all’alta amministrazione, ossia la spina dorsale dell’establishment. Come dire che i Cinque Stelle non intendono proporsi come forza rivoluzionaria e dunque anti-sistema, bensì come movimento riformatore. Tuttavia c’è un aspetto particolare che nessun partito riformista tradizionale deve affrontare: il rapporto assiduo e quasi nevrotico con l’elettorato. Non un rapporto da verificare di tanto in tanto nella stagione delle elezioni, bensì una sorta di plebiscito quotidiano. E gli elettori dei Cinque Stelle, nella loro maggioranza, non sembrano pronti ad accettare i compromessi del potere. Il che significa che una partecipazione al governo – comunque esclusa con Forza Italia – viene ammessa solo se garantita da Di Maio a Palazzo Chigi. E anche in tal caso c’è da supporre che l’operato del premier verrebbe filtrato attraverso un controllo giornaliero e pedante. Quando si cerca di interpretare il M5S e prevedere le sue mosse, si tende a dimenticare questa caratteristica che limita il campo d’azione di Di Maio e lo obbliga a rendere conto di sé a un movimento che non è disposto a perdonare i cedimenti. Forse nemmeno nel quadro del riformismo meritocratico adombrato da Roventini. Quindi si può escludere il rapporto con il centrodestra Salvini-Berlusconi. Ma anche l’eventuale incrocio con il Pd sembra possibile a una sola condizione: che i Cinque Stelle siano in grado di fagocitare il partito del centrosinistra, riducendolo a una specie di satellite. Il che rende poco verosimile qualsiasi accordo di tipo politico classico, a meno di non ammettere una lacerazione profonda del Pd.

NOMINE
giovanna casadio, Roma . L’obiettivo è non fare toccare palla al Pd là dove si decide sui vitalizi e sul taglio dei costi del Parlamento. I 5Stelle avevano già deciso ma l’atteggiamento duro e puro di opposizione dei Dem ha rafforzato la loro determinazione. Quindi al Pd nell’ufficio di presidenza del Senato è toccato un vicepresidente e stop. In particolare, niente questore. Oggi si voterà alla Camera ma il braccio di ferro non lascia ben sperare i dem: potrebbe saltare a Montecitorio anche la vicepresidenza per cui sono in lizza Ettore Rosato, Barbara Pollastrini, Lorenzo Guerini. Alla vicepresidenza di Palazzo Madama, per accordi interni al Pd, è stata eletta Anna Rossomando, corrente Orlando. Che come primo atto invita i deputati dem a fare meglio dei senatori e quindi, a Montecitorio, a riallacciare quel filo di dialogo con i grillini che si è spezzato, «perdendo l’occasione di un accordo unitario » . L’insistenza del Pd sui questori ruolo chiave nel funzionamento della macchina delle Camere - è stata rinviata dai grillini al mittente. E lo strappo si è consumato nell’incontro tra i capigruppo dei 5Stelle Giulia Grillo e Danilo Toninelli e quelli del Pd Andrea Marcucci e Graziano Delrio. I Dem puntavano a due vice presidenti e due questori. L’ok alla Rossomando è avvenuto senza l’aiuto dei 5Stelle: ha infatti avuto 63 voti, una decina in più rispetto ai 53 senatori dem. Gli altri vice presidenti di Palazzo Madama sono il leghista Roberto Calderoli ( 164 voti), Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia ( 119), la grillina Paola Taverna (105). Ma è la rabbia per il no ai questori che cresce nelle fila dem. « Si è deciso di non dare questori alle minoranze. Per la prima volta in Italia, la gestione del Senato non dà accesso ai numeri e non sarà trasparente. Non ci sarà la possibilità di critica da parte delle minoranze » attacca Marcucci. E Matteo Renzi denuncia la nuova spartizione di poltrone: «Sono dinamiche loro, interne ai 5Stelle. Essendo tanti dovranno dare un qualcosa a ciascuno. Solo che quando lo facevamo noi era una “spartizione di potere” ora che lo fanno loro è “ libera espressione della democrazia” » . Il candidato questore dem era Gianni Pittella ( 59 voti), ex capogruppo Pse all’europarlamento. I tre questori eletti sono il forzista Antonio De Poli, il leghista Paolo Arrigoni, la grillina Laura Bottici. E il Pd non ha avuto neppure uno dei 4 segretari d’aula. Il leader 5Stelle Luigi Di Maio per la Camera oggi proporrà come questore Riccardo Fraccaro a cui spetterà il compito di istruire la pratica del taglio dei vitalizi che si può fare subito con una delibera in due o tre sedute. “ Avviso” dei 5Stelle anche sulle nomine nelle aziende di Stato. Andrea Roventini, ministro dell’Economia designato, dà l’alt a Gentiloni: «Non pensi di decidere da solo, soprattutto su Saipem dove le nomine non possono attendere. No a spartizioni».