Libero, 28 marzo 2018
Spie si diventa nelle università. Dei nemici
NEW YORK Dici «spia» e il pensiero vola alla leggendaria Mata Hari o, per restare all’attualità, a Anna Chapman, la avvenente 007 russa, finita in manette nel 2010 negli Usa, che di recente si è rifatta viva su Instagram. Mai uno si immaginerebbe nei panni della spia un nerd occhialuto e chino sui libri. E invece è proprio così che va il mondo, come racconta nel libro Spy Schools, Come la CIA, l’FBI e l’intelligence straniera sfruttano segretamente le università americane (Henry Holt and Co.), il premio Pulitzer Daniel Golden.
Altro che seduttori, danzatrici e La spia che mi amava, il nuovo “trend” dello spionaggio passa per anonimi borsisti e ricercatori universitari. Di quelli che mai immagineresti. E il motivo è facilmente intuibile: «La ricerca accademica», scrive Golden, «offre un obiettivo prezioso, vulnerabile e a basso rischio per lo spionaggio straniero. Pur perseguendo tecnologie rivoluzionarie per il Pentagono e la comunità dei servizi segreti, i laboratori universitari sono meno protetti rispetto alle loro controparti aziendali, riflettendo una cultura orientata alla collaborazione e alla pubblicazione. In genere, i ricercatori non sono tenuti a firmare accordi di non divulgazione, che sono in contrasto con l’etica dell’apertura».
L’inghippo si nasconde insomma negli interstizi degli scambi “culturali” tra le grandi potenze. Tutto comincia alla fine degli anni ’70, in piena Guerra Fredda quando il presidente Jimmy Carter accoglie la proposta del presidente cinese Deng Xiaoping di inviare 5000 studenti cinesi negli Usa. È in quel momento che lo spionaggio comincia a cambiare faccia. E non che gli Usa si siano limitati a far da spettatori. La Cina, sempre secondo Golden, ha a lungo percepito la mano della CIA nell’espansione accademica degli Stati Uniti.
IL CAMPUS A PECHINO
L’apertura del primo campus americano a Pechino nel 1986 ha alimentato queste paure. E non a caso: era la stessa Scuola di Studi Internazionali della Johns Hopkins, dove era stata reclutata la mitologica spia cubana Ana Belén Montes (che oggi langue ignorata in una cella del carcere di massima sicurezza di Fort Worth, in Texas, ndr).
Il sistema è così diffuso che sono stati anche codificati dei metodi di reclutamento dei professori da parte degli 007. Il “corteggiamento” di un accademico inizia di solito con un incontro apparentemente casuale, a una conferenza. A raccontarlo a Golden è nientemeno che un agente della CIA, tale “R”.«“Ho reclutato un sacco di persone alle conferenze”, mi ha detto R. “Sono stato bravo, e non è così difficile”. Tra un incarico e l’altro, avrebbe esaminato un elenco di conferenze imminenti, ne avrebbe scelto una e identificato uno scienziato di interesse che probabilmente avrebbe partecipato perché aveva parlato almeno due volte nello stesso evento negli anni precedenti. R chiedeva a tirocinanti presso la CIA e l’NSA di sviluppare un profilo del bersaglio: dove era andato al college, chi erano i suoi insegnanti e così via».
In seguito l’agente si inventa una società, crea un falso sito web con falsi biglietti da visita. Poi scatta l’invito a cena, dove al docente viene chiesto di collaborare con una società “innocua”.”Ogni accademico che abbia mai incontrato cerca costantemente di capire come ottenere borse di studio per continuare la sua ricerca”, rivela l’agente segreto all’autore. Il prezzo, varia a seconda dal paese dello scienziato: “Mille-cinquemila dollari per un pakistano. Di più per un coreano. Una volta che la CIA paga un professore straniero, anche se è inconsapevole all’inizio della fonte di finanziamento, lo controlla, perché l’esposizione della relazione potrebbe mettere in pericolo la sua carriera o persino la sua vita nel suo paese natale». Di storie così il libro di Golden è pieno. Tutti probabili eredi dei famigerati 5 di Cambridge o “Magnifici Cinque” e “Cinque stelle” (nessun riferimento): il gruppo di agenti doppiogiochisti britannici che, a partire dagli anni Trenta, cominciarono a trasmettere importanti informazioni dei servizi segreti di Sua Maestà all’Unione Sovietica, facendo base proprio all’Università di Cambridge.
FILM E REALTÀ
I loro nomi Kim Philby, Guy Burgess, Donald Duart Maclean, Anthony Blunt e John Cairncross sono ancora ben impressi nella memoria degli inglesi, anche per aver ispirato una gran quantità di film e libri, tra cui l’ottimo Another Country di Marek Kanievska. Ma il pensiero e non potrebbe essere altrimenti va anche a Giulio Regeni, ucciso barbaramente in Egitto, perché forse coinvolto a sua insaputa in un gioco di spie più grande di lui, che vedeva l’uno contro l’altro i servizi segreti inglesi e il governo egiziano di Al Sisì. Tra le ipotesi al vaglio della magistratura c’è anche quella che il ricercatore triestino sia stato usato per captare informazioni, senza alcuna protezione. Proprio quello che secondo Golden accade a centinaia di studenti e ricercatori in tutto il mondo e le cui storie non vedremo mai in un film di 007.