Corriere della Sera, 29 marzo 2018
Fisco per fiasco
Ogni volta, verso la fine di marzo, lo Stato italiano si arrende ai suoi limiti e lo comunica all’opinione pubblica in una cerimonia autopunitiva, altrimenti nota come resoconto annuale delle dichiarazioni dei redditi. Dalla geremiade di dati appena pubblicati, relativi all’anno di scarsa grazia 2017, si evince che quasi un contribuente su due non arriva a 15.000 euro l’anno, poco più di 1.200 lordi al mese. Una cifra che forse consente di sopravvivere in un paese di campagna, con l’orto in giardino e la casa ereditata dalla nonna. Ma che in nessuna città, neanche di piccole dimensioni, garantisce un vitto e un alloggio decenti. Se questi numeri, che al Sud assumono contorni da carestia endemica, corrispondessero alla realtà, avremmo le strade stracolme di cenciosi e un paio di rivolte popolari in corso, perché nessuna ideologia spinge i popoli alla ribellione quanto la lotta contro l’appetito.
Intendiamoci, il malessere è diffuso e la povertà in crescita, come la massa di persone che non trovano più lavoro o lo trovano, ma senza stipendio. Eppure i ristoranti continuano a riempirsi, per fortuna gli alberghi di Pasqua sono vicini al tutto esaurito e il denaro depositato in banca non accenna a diminuire. Chiederei perciò allo Stato una cortesia. La smetta di pubblicare il rendiconto delle sue Caporetto fiscali. Questa dichiarazione rituale di impotenza non fa che gonfiare la vena populista di chi la ascolta e talvolta ha il vizio di pagare le tasse per tutti.