il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2018
Rei, primo bilancio: una goccia nel mare della lotta alla povertà
Ha solo tre mesi di vita il reddito di inclusione, meglio noto come Rei, ma ieri il governo uscente e l’Inps, insieme al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, hanno già voluto fare un primo bilancio sui risultati. Sono 317 mila le persone che hanno iniziato a ricevere questo nuovo sostengo economico per il contrasto alla povertà. Il numero totale di cittadini coinvolti da aiuti di questo tipo arriva a 870 mila se aggiungiamo quelli che beneficiano del sostegno di inclusione attiva – il Sia, una misura nata nel 2012 e sviluppata negli scorsi anni – e quelle che godono di simili iniziative adottate a livello locale dalle Regioni Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Puglia. Significa, insomma, che l’insieme di questi strumenti copre ancora una piccola parte di chi oggi in Italia fa i conti con la povertà assoluta, parliamo di 4,7 milioni di persone secondo le rilevazioni dell’Istat.
Per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e soprattutto per il presidente dell’Inps Tito Boeri, però, la presentazione del primo monitoraggio è stata l’occasione per rivendicare politicamente il Rei e sfidare su questo campo il Movimento 5 Stelle, che con il reddito di cittadinanza propone un intervento simile nell’impostazione ma ben più generoso (e costoso in termini di coperture). Tornando ai dati diffusi ieri, i quasi 900 mila cittadini che stanno usufruendo dei vari strumenti di contrasto alla povertà compongono circa 250 mila famiglie. Si tratta di quelli che potremmo definire i più poveri tra i poveri, visto che la platea complessiva potenziale è molto più alta: arriviamo – sempre stando ai dati Istat – a 1,6 milioni di famiglie. Per tutelare tutti i “poveri assoluti”, l’Alleanza contro la povertà sostiene da tempo che servirebbero sette miliardi di euro, ma per il momento la dotazione del Rei è ferma a circa due (arriverà a tre nel 2020). L’obiettivo del governo e dell’Inps è arrivare a quota 2,5 milioni di persone, 700 mila famiglie, da luglio. Considerando la platea potenziale totale, è evidente che al momento c’è stata una “selezione all’entrata” molto severa, un paradosso se consideriamo che si tratta di misure a favore di chi è ai margini della società. Non a caso Inps e ministero non hanno reso noto il numero di domande arrivate (e quindi anche quelle respinte).
I parametri per ottenere il Rei sono molto stretti: bisogna avere un Isee (l’indicatore della soglia economica equivalente) sotto i 6 mila euro, un patrimonio immobiliare sotto i 20 mila euro e non bisogna superare i 10 mila euro tra depositi e conti correnti bancari. A questo si aggiunge un indicatore chiamato Isre, che nel calcolo dà molta importanza al reddito familiare, e il valore deve essere inferiore a 3 mila euro. Naturalmente, quelli che già prendono il sussidio di disoccupazione sono esclusi dal Rei.
Gli attuali beneficiari abitano in Regioni del Sud in sette casi su dieci; in particolare, in Calabria, Campania e Sicilia, cioè i territori con i più alti tassi di disoccupazione. Quanto agli importi, quello medio del Rei è di 297 euro al mese, mentre per il Sia si ferma a 245 euro. Entrambi crescono a seconda di quanto è numerosa la famiglia: il Rei oscilla tra 187 e 490 euro, il Sia tra 80 e 400. Questa quindi è la dote che dovrebbe dare un minimo di ossigeno ai beneficiari. In ogni caso è molto meno di quanto sarebbe previsto dal reddito di cittadinanza, che agendo sulla povertà relativa (e non su quella assoluta) partirebbe da 780 euro mensili.
Insomma, oggi il Rei rappresenta un’evoluzione del Sia (che verrà inglobato nella nuova misura), la cui sperimentazione era partita nel 2012 con un fondo di soli 50 milioni di euro e ora si avvia a un naturale esaurimento. Come per il suo predecessore, il Rei prevede che all’erogazione della somma di denaro si accompagni un progetto per aiutare la persona a trovare un lavoro – è infatti previsto che chi rifiuta un’offerta perde il sussidio – o comunque a superare la situazione di disagio. Per questo devono intervenire i Comuni, i servizi sociali, il terzo settore e soprattutto i centri per l’impiego, che dovrebbero assistere i beneficiari nella ricerca di un posto. Gli ex uffici di collocamento, però, da noi sono molto deboli, hanno poche risorse e poco personale. “Li potenzieremo”, ha assicurato Poletti, ma per farli funzionare davvero bisognerebbe investire diversi miliardi. Solo quando tutto questo sistema sarà partito si potrà valutare davvero l’impatto del reddito di inclusione, nel senso che potremo capire quante persone saranno davvero entrate nel mercato del lavoro e uscite dalla povertà assoluta. Per il momento, il fatto che ci sia un’alta adesione al Rei dipende da una semplice ovvietà: in Italia ci sono tanti poveri. E le risorse del Rei, tra Sia e altre misure inglobate, non sono salite di molto.