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 2018  marzo 28 Mercoledì calendario

Sono le bollicine a far volare l’export italiano

Aveva ragione Vasco Rossi quando cantava «con tutte quelle, tutte quelle bollicine», anche se non parlava di vino. Tra il 2007 e il 2017, l’export di spumanti italiani nel mondo è cresciuto del 240%, a fronte di una media mondiale del 50%. Una cavalcata che ha un nome ben preciso, Prosecco, e che è destinata a proseguire ancora, anche se non sempre a questi ritmi. Un po’ perché oltre al Veneto e al Friuli c’è l’Adriatico, e lì non è semplice impiantare vigneti, un po’ perché anche la concorrenza non sta a guardare, in particolare i cava spagnoli.

È questo uno dei dati più significativi emerso ieri a Roma, durante la presentazione dell’indagine «Il futuro dei mercati, i mercati del futuro» di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, in occasione della conferenza stampa che ha svelato ciò che bolle nel pentolone della 52ª edizione della rassegna scaligera, in programma a Veronafiere dal 15 al 18 aprile.
Obiettivo Sud del mondo
Lo studio, illustrato dal responsabile di Nomisma Wine Monitor Denis Pantini, è partito dagli ultimi 10 anni per prevedere come si evolveranno i consumi nei prossimi 5 e per capire soprattutto chi darà le carte tra i Paesi produttori in un «mercato monstre», che per le sole cantine vale circa 31 miliardi di euro l’anno di export.
Il quadro che ne è emerso è allo stesso tempo confortante e allarmante per l’Italia. Da un lato, nel decennio 2007-2017 l’export di vino italiano è cresciuto del 69% spostandosi dai mercati di prossimità (oggi l’Ue pesa per il 51% contro il 59% di dieci anni fa) a quelli più distanti. Ma questo riorientamento non è stato sufficiente e resta da colmare una lontananza siderale dai mercati del futuro.
Se l’Italia del vino è leader in 16 mercati mondiali, la Francia lo è in 29: brucia il recente sorpasso che i cugini d’Oltralpe ci hanno inflitto negli Stati Uniti, ma anche e soprattutto in Cina e nel sud del Mondo il nostro peso è ancora marginale (meno del 10% sull’import dei singoli Paesi).
La differenza è nel prezzo
Da qui al 2022 la geografia dei consumi cambierà ancora, facendo diventare il vino sempre più un simbolo globale del lifestyle e lontano dalle zone di produzione. Le previsioni sull’export italiano dicono che la Germania e il Regno Unito saranno stazionari, che il Giappone sarà in leggera crescita (+10%) grazie all’imminente accordo di libero scambio, mentre qualche soddisfazione potremo trarla da Cina (+38,5%), Russia (+27,5%) e Usa (+22,5%), veri player della crescita dei consumi grazie a vari fattori. Ma queste percentuali potrebbero non essere sufficienti a superare i competitor più agguerriti.
«Siamo ancora troppo poco organizzati e decisivi nel posizionamento di un prodotto il cui vero discriminante sarà sempre più quello del prezzo e non del volume, che non è certo illimitato – ha spiegato il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese -. Oggi per sopperire al nanismo delle nostre imprese e per penetrare nei mercati più lontani da noi sul piano delle affinità culturali serve un brand ombrello e una struttura qualificata in grado di accompagnare nel mondo non le singole aziende ma tutto il made in Italy enologico con modalità aggregative».
Oltre 4000 espositori
Per il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, «dobbiamo essere in grado di cavalcare alcune tendenze che ci favoriscono, come quella delle bollicine dei consumi mondiali, che è stata l’arma vincente di questi ultimi anni. Con Vinitaly lavoreremo sempre di più fuori dai confini nazionali, anche in stretta collaborazione con Ice-Agenzia, perché restiamo convinti che solo attraverso un progetto di promozione di sistema oggi sia possibile per il vino italiano crescere in valore».
Ecco allora una fiera sempre più orientata al business e alle presenze internazionali. Il numero degli espositori esteri che saranno presenti a Verona è aumentato del 25%, mentre le delegazioni commerciali sono state selezionate da 58 Paesi e gli operatori professionali arriveranno da 140 nazioni. Il numero complessivo degli espositori è ulteriormente cresciuto, fino a raggiungere quota 4320 con una crescita costante dell’offerta «green» con le aree ViVit, VinitalyBio e Fivi.