il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2018
L’Abete sempre verde innaffiato dallo Stato. I flop a spese nostre
L’ultimo fastidio per Luigi Abete, presidente di Bnl, ex presidente di Confindustria e uomo plurinavigato da decenni nell’agone economico-finanziario, è scoppiato nei giorni scorsi. Le intercettazioni della Guardia di Finanza avrebbero rivelato come un dirigente della banca presieduta da Abete, Giuseppe Pignataro, si sarebbe prodigato per far ottenere dall’istituto un finanziamento-lampo (15 milioni in sole 7 ore) nell’ambito di un’operazione su Cinecittà Studios, di cui lo stesso Abete è stato azionista.
Abete non è indagato, ma certo la vicenda è imbarazzante. Cinecittà Studios è stata per anni, fino all’estate scorsa quando è tornata pubblica, una dei molteplici affari dell’ex presidente di Confindustria. Affari non certo andati bene. I blasonati studi cinematografici della Roma felliniana, su cui si sarebbe prodigato il dirigente di Bnl, erano parte integrante di un colossale progetto di investimento nel business dell’intrattenimento sotto l’egida di Italian Entertainment Group che ha visto Abete protagonista come socio insieme a Diego Della Valle, Aurelio De Laurentis e la famiglia Haggiag. Un sogno diventato incubo. Il colosso dei parchi a tema ha infatti cumulato perdite per oltre 100 milioni in soli 5 anni. Ha visto evaporare tutto il patrimonio e accumulare una mole di debiti di quasi 300 milioni a fronte di ricavi per soli 30 milioni. Ce n’è a sufficienza per gettare la spugna. Ma il colpo d’ala, e qui entra in scena il presunto prestito facile di Bnl, è stato da maestri: rivendere allo Stato (cioè ai contribuenti) gli studi di Cinecittà dopo averli gestiti per anni, ripristinando così il capitale del gruppo e salvando la baracca. Quando le cose mettono male anche un fervido sostenitore del liberismo e dell’imprenditoria di mercato si rivolge alla mano pubblica.
Il passaggio di consegne all’Istituto Luce è dell’estate scorsa con Cinecittà in utile nel 2016 dopo due stagioni ininterrotte di rosso. Ma l’affare vero lo hanno fatto i vari Abete, Della valle e De Laurentis. La prova è nell’ultimo bilancio del loro gruppo, la Ieg, che spiega che la cessione di Cinecittà Studios avrà “un impatto positivo sul patrimonio netto del gruppo tale da riportarlo in positivo”. La rivendita allo Stato ha tamponato la crisi pesantissima di tutta la holding dell’intrattenimento che dal 2011 al 2016 ha incamerato oltre 100 milioni di perdite. Chissà che il 2017 non abbia segnato il primo punto di svolta. Il bilancio riporta che i ricavi dei primi mesi del 2017 di Cinecittà World sono cresciuti dell’80 per cento sui primi mesi del 2016. Si vedrà. Resta che a fine 2016 la Ieg aveva bruciato del tutto anche il patrimonio, andato in negativo per quasi 11 milioni. E quando il capitale svanisce si è a un bivio: occorre mettere denaro nuovo e/o fare cassa con le cessioni (Cinecittà studios docet) non potendo contare troppo sulle banche. Le pressioni fatta dal dirigente di Bnl intercettato per erogare nuovo denaro, direbbero il contrario.
Su Ieg ci sono garanzie e pegni sulle azioni da parte delle banche che hanno finanziato il sogno del business del divertimento. Ma il vizietto di fare affari con la sponda del contributo pubblico caratterizza l’altra attività di Abete, quella editoriale. La sua Askanews ha rischiato fino all’ultimo di esser tagliata fuori dalla gara pubblica delle agenzie di stampa. Ora forse c’è uno spiraglio con l’aggiudicazione dell’ultimo lotto rimasto. Come tutte le agenzie di stampa anche Askanews sta in piedi grazie al denaro pubblico. Metà del fatturato di 11 milioni viene dalla convenzione con la presidenza del Consiglio. Persa quella, Askanews andrebbe in perdita secca per alcuni milioni mangiandosi il capitale. Un guaio per Abete. Che nelle more della (per ora) non aggiudicazione ha proposto un piano draconiano: cassa integrazione al 75 per cento per i 130 dipendenti tra giornalisti e poligrafici. Piano rivisto nei giorni scorsi con una Cigs “solo” al 50 per cento.
Negli ultimi 5 anni, ha ricordato il Cdr dell’agenzia (la rappresentanza sindacale), si sono rincorsi stati di crisi con solidarietà che hanno comportato tagli di stipendi e un risparmio di almeno 4 milioni in 5 anni. Ma c’è di più: sfogliando l’ultimo bilancio si scopre che Askanews vanta crediti verso la controllante (cioè Abete) per circa 3 milioni. Bastava liquidarli per dare fiato all’agenzia, invece è arrivata la richiesta di cassa integrazione. Quando le cose sul mercato buttano male, Abete tende la mano a Mamma Stato.
Non è una sua attività, ma anche il Sole 24 Ore annovera Abete tra i protagonisti. È solo un consigliere, ma era ed è l’uomo forte di Confindustria nel giornale. L’aver visto colare quasi a picco sotto 340 milioni di perdite il più autorevole giornale economico del Paese non depone certo a suo favore. Le azioni quotate erano solo le speciali (caso mai visto in Italia) mentre tutto il pacchetto delle ordinarie era ed è saldamente in mano a Confindustria. Un arrocco che con il mercato c’entra poco. Con la quotazione del 2007, il Sole incassò dai poveri azionisti speciali oltre 180 milioni. Ne ha persi il doppio in pochi anni. E quando, ai tempi della direzione di Roberto Napoletano, si inventarono le copie digitali fittizie da Abete non uscì un fiato. Furono solo alcuni consiglieri indipendenti a porre il problema.