la Repubblica, 28 marzo 2018
L’amaca
In politichese potrebbe definirsi “larga convergenza di interessi” l’ipotesi di un accordo di governo tra cinquestelle e centrodestra, con la sinistra esclusa nella sua interezza, poco importa se per sdegnosa assenza o perché nessuno l’ha invitata.
C’è un paese profondo (cattolico, provinciale, familista, laborioso, indifferente alle ideologie) che della sinistra non ha mai saputo che farsene.
La sinistra che parla sempre di tasse e di regole, con la sua petulante ossessione della cultura, la sinistra mai semplice, mai alla mano, mai davvero complice della fatica di arrangiarsi, con i suoi intellettuali spocchiosi e i suoi capi presuntuosi: beh la sinistra, a pensarci bene, è “poco italiana”.
Già un arcitaliano, Berlusconi, principe indiscusso degli affari propri, riuscì a catalizzare questo diffuso sentimento popolare.
E quando parve fradicio il suo impero, sepolto da un eccesso di “affari propri” insostenibile perfino in un Paese come questo, e l’Italia sembrava rassegnata a sorbirsi la sinistra, sia pure nella gioviale salsa bersaniana, entrò in scena il grillismo. Posso sbagliare, anzi spero di sbagliare: ma a conti fatti, la spiegazione storica del grillismo potrebbe essere (dopo la Dc, e dopo Berlusconi) l’ennesima trovata di questo geniale paese per scrollarsi di dosso la sola minaccia che avverte davvero come aliena, estranea alle sue tradizioni e alla sua anima. La sinistra.