Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2018
I poteri di «veto» del Quirinale con l’art. 81 sul pareggio di bilancio
Non è con sorpresa che Sergio Mattarella ha letto le dichiarazioni del commissario Ue agli Affari economici in cui ricordava all’Italia l’alto livello del debito e quindi la raccomandazione a «politiche di bilancio responsabili». Forse chiamarlo “avvertimento” è sbagliato, può darsi che sia un gradino sotto, ma quello che è certo è che i destinatari di Pierre Moscovici erano la Lega e i 5 Stelle, cioè coloro che a oggi si candidano a governare il Paese con un programma che trascura – anche volutamente – l’aspetto del deficit. Lasciando da parte come la giornata di ieri abbia sempre più mostrato le difficoltà di un patto Di Maio-Salvini, è evidente che gli allarmi dell’Europa non sono un fulmine a ciel sereno per il capo dello Stato. Si può immaginare che ci siano stati contatti con i massimi livelli dell’Unione già subito dopo il voto, è probabile che ci sia già stato uno scambio di opinioni, forse anche di preoccupazioni. Non c’è una versione ufficiale del Colle e soprattutto non ci sono commenti visto che la situazione interna è ancora molto nebulosa, sta di fatto che la nostra Costituzione consente pure il silenzio.
Nel senso che i meccanismi di auto-tutela del sistema finanziario italiano, anche senza gli allarmi esteri, sono pienamente operativi ed efficaci. Si parla dell’articolo 81, quello che nel 2012 fu oggetto di riforma per inserire nella Carta il pareggio di bilancio. Per intenderci quella revisione che fu fatta in pochi mesi, approvata da una larga maggioranza qualificata durante il Governo Monti proprio per tranquillizzare i mercati che avevano acceso la spia rossa della speculazione sul nostro Paese. Bene, il primo strumento nelle mani del capo dello Stato a tutela dei conti italiani è proprio l’articolo 81 che gli consente di dare lo “stop” se si fanno provvedimenti in aperta contraddizione con il dettato della norma. Si configurerebbero proprio come violazioni della Costituzione e con questa motivazione Sergio Mattarella negherebbe la firma delle leggi e le rinvierebbe alle Camere.
Va anche chiarito che fin qui non si è mai attivato questo meccanismo perché lo stesso articolo prevede delle deroghe che fino ad ora il Governo ha sempre trattato con Bruxelles. Si tratta di quelle clausole concordate con l’Europa che hanno fatto “incassare” all’Italia una flessibilità di circa 30 miliardi in tutto il periodo del Governo Renzi. Ma è lo stesso articolo 81 che prevede sia possibile il ricorso all’indebitamento ma «solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico» e «al verificarsi di eventi eccezionali», che possono consistere in gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Tutte circostanze in cui si è aperto un tavolo con i commissari europei, talvolta più complesso, ma che ha mantenuto l’Italia dentro i binari europei. Proprio i “patti” con l’Unione hanno consentito di restare nell’alveo della Costituzione e nello scudo dell’Ue mentre ipotizzare una legge di bilancio che rompa il muro del 3%, metterebbe automaticamente il Governo fuori dalla Costituzione e dalle regole europee. Prima di tirare in ballo i mercati, un tale Esecutivo verrebbe messo in mora dal capo dello Stato.