La Stampa, 25 marzo 2018
Cannoniere e elicotteri. Così Londra difenderà i suoi pescatori dalla Ue
La vita dei pescatori evoca sempre in Gran Bretagna storie di pericolo e di eroismo, e la pesca aveva forgiato, con le miniere e i cantieri navali, buona parte dell’identità nazionale. Se l’Europa non vuole cedere i diritti acquisiti sulle acque del Regno Unito, e minaccia anzi di continuare a sfruttarle persino dopo la Brexit, è dunque logico che nel governo di Sua Maestà si reagisca come si è sempre fatto. Il ministro della Difesa Gavin Williamson ha varato una cannoniera, la Hms Forth, destinata a proteggere dopo l’uscita dall’Unione europea le riconquistate acque territoriali dalle quotidiane invasioni dei pescatori francesi, spagnoli, olandesi e tedeschi che ora vi scorrazzano impunemente. La Forth sarà affiancata da altre quattro navi gemelle, tutte dotate di un cannone da 30 mm, quattro mitragliatrici, un elicottero e un reparto di truppe d’assalto. «Saranno gli occhi e le orecchie della marina intorno alla Gran Bretagna – ha detto il ministro – e salvaguarderanno i diritti dei nostri pescatori».
La costruzione delle navi era stata decisa essenzialmente per contrastare il terrorismo e l’immigrazione. Ma aggiungere qualche riga alle regole d’ingaggio non costa nulla e servirà a mitigare la dilagante protesta che dalle coste britanniche si leva contro il governo, accusato di avere tradito i principali sostenitori della Brexit al referendum: il 92% dei pescatori aveva votato per riconquistare il controllo delle proprie acque. Era stato loro promesso che i vecchi trattati sarebbero stati cancellati a partire dal 29 marzo 2019 e invece Theresa May ha concesso alla Ue di tenerli in vigore anche nel periodo di transizione, quindi fino al gennaio 2021. Qualche mese in più non dovrebbe fare una grande differenza, ma i pescatori sanno di essere una piccola pedina in un gioco molto più grande, e giustamente non si fidano. E tredici deputati conservatori hanno minacciato pure di votare contro il governo e far saltare ogni trattativa sulla Brexit.
Quando aveva aderito nel 1973 alla Comunità economica europea, la Gran Bretagna aveva sottoscritto l’accordo per la Politica comune della pesca, un trattato che stabiliva quote di pesca molto favorevoli ai francesi, cui toccano ad esempio nove dei merluzzi che nuotano nel Canale ogni singolo merluzzo pescato dagli inglesi. I britannici possono oggi catturare solo il 30% del loro pesce, il 70% va agli altri Paesi europei. Nell’Inghilterra orientale i pescatori sono dunque rapidamente spariti. Sopravvivono a stento in Cornovaglia e in Scozia, ma devono continuamente affrontare la concorrenza dei Paesi vicini e il peso di trattati penalizzanti. Se la Gran Bretagna fosse uno Stato africano, ha scritto il «Guardian», per quanto riguarda la pesca tutti parlerebbero di colonizzazione da parte dell’Unione europea.
Il ministro dell’Agricoltura Michael Gove aveva già annunciato il ritiro dalla Politica comune della pesca e il trionfale ritorno al controllo delle proprie acque territoriali. L’accordo invece non solo resterà in vigore fino al 2021, ma la Gran Bretagna perderà anche il diritto di partecipare all’assegnazione annuale delle quote di pesca tra i Paesi Ue decisa a Bruxelles, e manterrà solo un inutile potere consultivo. «Ci hanno tradito e ci hanno mentito – ha detto Tony Delahunty, rappresentante della Federazione dei pescatori – e c’è un grande risentimento contro il governo in tutta la costa».
La pesca partecipa solo per lo 0,05% al Pil britannico e occupa 24.000 persone. Possono essere sacrificate, visto che al tavolo delle trattative per la Brexit hanno molto più peso le esigenze dei pescatori del Nord Europa, che non vogliono rinunciare alle acque costiere britanniche. Le ritorsioni della Ue potrebbero poi danneggiare Londra molto di più della perdita di qualche merluzzo. Forse stavolta non basteranno neppure le cannoniere della Regina a evitare ai pescatori britannici la stessa fine dei minatori e degli operai dei cantieri navali.