il Giornale, 27 marzo 2018
Crac Remington, fallische la storia della armi Usa
Un risultato il crescente movimento no gun che agita gli Stati Uniti lo ha già ottenuto: far (quasi) fallire una delle storiche fabbriche di armi. Anzi, la più antica: la Remington.
Domenica scorsa l’azienda di Madison (North Carolina) ha presentato presso la Us Bankruptcy Court del district of Delaware la richiesta di accedere al Chapter 11, quella norma del diritto fallimentare statunitense che consente a un’azienda sull’orlo della bancarotta di ristrutturare e quindi salvare baracca e burattini (magari con qualche burattino in meno). La domanda è stata presentata dalla Remington Arms Company e dalla casa madre, Remington Outdoors, che controlla anche altri produttori di armi, come Marlin e Bushmaster.
La Remington, fondata nel 1816 da Eliphalet Remington a Ilion, nello stato di New York, fu acquistata nel 2007 per 118 milioni di dollari dal fondo di private equity Cerberus Capital Management, quando era già in gravi difficoltà finanziarie: i nuovi proprietari all’atto dell’acquisto si fecero carico di 252 milioni di debiti. Ma i progetti di rilancio si sono arenati e la situazione è precipitata negli ultimi anni. Nel 2012 un duro colpo per l’immagine dell’azienda fu la strage nella scuola elementare Sandy Hook in Connecticut a opera di Adam Lanza, che uccise 27 persone tra cui 20 bambini e poi si tolse la vita. Lanza utilizzò per la sua azione un fucile Bushmaster, e Cerberus annunciò la volontà di lasciare il settore delle armi (poi non trovò acquirenti e lasciò perdere). Poi a peggiorare il tutto c’è stato l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump: la storia infatti insegna che – paradossalmente – durante le amministrazioni pro armi le vendite scendono mentre quando il presidente annuncia controlli più severi (come accadde con Barack Obama) le vendite si impennano perché gli appassionati fanno «rifornimento» temendo tempi grami. Il risultato è che nel solo 2017 la Remington ha visto crollare le vendite del 30 per cento. E i creditori hanno accettato di ridurre di 700 milioni il debito pari a 948 milioni in cambio di quote societarie.
Del resto l’ostilità nei confronti dell’industria delle armi, considerata complice dei folli che periodicamente imbracciano un fucile e seminano morte e terrore in un luogo pubblico (l’ultimo caso la strage all’high school di Parkland, in Florida, con 17 vittime) sta contagiando anche il mondo della finanza e del commercio. Citigroup, la più grande azienda di servizi finanziari del mondo, ha annunciato che non accetterà più tra i suoi clienti aziende che vendano armi, salvo quelle che mettano in atto procedure credibili per evitare che le armi finiscano in mano a minorenni e a chi non ha superato controlli preventivi e che non commercializzino caricatori ad alta velocità. Anche la catena di Fred Meyer ha annunciato che non venderà più armi da fuoco.