il Fatto Quotidiano, 26 marzo 2018
Molti ricordano il delitto Moro. Ma non tutti la criminalità
Il vero titolo della dettagliatissima indagine di Simona Zecchi (La criminalità servente nel Caso Moro, La Nave di Teseo Editore ) avrebbe dovuto essere “Omicidio derivativo” che, nel linguaggio dei Servizi, significa “omicidio voluto da terzi che vincola tutti”. Ho citato dall’ultima delle 287 pagine di una inchiesta sul tragico e tuttora misterioso evento che tocca e cambia profondamente la storia e la politica italiana, per tre ragioni.
La prima è il rovesciamento del metodo investigativo. Poichè tutto è dato per scontato (ovvero provato e accertato da chi di competenza), la Zecchi sceglie di non dare nulla per scontato e di rivedere ogni dettaglio. Le prove rovesciate e le contraddizioni sono infinite. Poichè i tradizionali investigatori (siano enti o commissioni parlamentari) scelgono di partire dai fatti, considerando i fatti “acquisiti”, la Zecchi dimostra che niente è acquisito e che niente è più incerto e discutibile dei fatti, a cominciare dalla disputa giornalistica della mattina dopo il delitto: quanti morti?E poichè, per quanto diverso e motivato sia l’investigatore (ci sono state enne inchieste sul rapimento e l’uccisione di Moro, oltre alla montagne di contraddizioni dei suoi rapitori e dei suoi esecutori), il percorso si aggancia sempre a sequenze logiche tradizionali (prima e dopo, causa ed effetto, a monte e a valle, ordine ed esecuzione), Simona Zecchi sceglie di saltare il binario e spostarsi su strade non tentate prima. Una ha a che fare con il “chi è chi” se si parla di preparazione e organizzazione. L’altra è lo spostamento del delitto dal campo di coltivazione dell’odio politico tipico delle Br a un campo esterno (l’omicidio derivativo) in cui devi cercare non chi esegue, ma da dove viene l’ordine. Questo è il vero senso del lavoro svolto in questo libro, nuovo per tanti versi, il cui senso (oltre ai veri mandanti e ai veri autori ) è rimasto ignoto. Tra le nozioni più importanti introdotte dall’autrice c’è la individuazione e definizione della “criminalità servente”, ovvero la disponibilità e l’interesse del crimine organizzato a entrare e uscire (alle giuste condizioni) in un delitto con strage che cambia la storia.
Poichè tutto è narrato con un linguaggio di giornalismo colloquiale, privo di enfasi e deliberatamente lontano da ogni compiacimento per la novità profonda della narrazione, il libro è un documento dalla parte del lettore: diminuisce di molto la distanza dal grande e terribile enigma.