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 2018  marzo 27 Martedì calendario

Cervelli più computer. Il dialogo continuo tra Rueda e Maranello

MELBOURNE Questione di istanti, attimi frenetici nei quali prendere decisioni senza ritorno. Il confine fra la gloria e il fallimento è sottilissimo. Nel popolo ferrarista resterà per sempre impressa la maledizione di Abu Dhabi, quando nel 2010 un ordine suicida fece perdere il Mondiale a Fernando Alonso. Dura la vita per gli strateghi della F1: se vinci i meriti sono del pilota, se perdi finisci sulla graticola.
Come nasce la mossa con cui Iñaki Rueda ha guidato il trionfo di Vettel nel Gp d’Australia? Parte da lontano, dall’analisi di migliaia di variabili. Nel briefing prima della gara con il team principal Arrivabene, il d.t. Binotto, i piloti e gli altri componenti del muretto si discutono le tattiche. Possono essere centinaia e si evolvono in tempo reale in base all’andamento della corsa. L’ultima parola spetta al responsabile della strategia: è lui a scegliere di anticipare o ritardare un pit stop. È ancora lui a chiedere a Vettel e Raikkonen, attraverso gli ingegneri di pista (Riccardo Adami e Dave Greenwood), di spingere al massimo per un certo numero di giri per proteggersi dagli attacchi o per attaccare. Magari con un sorpasso ai box, come quello decisivo di domenica. 
Rueda, insieme a una ventina di tecnici sul posto, controlla una marea di dati: temperatura di gomme e asfalto, consumi, posizioni e velocità degli avversari attraverso il Gps che mostra in tempo reale la situazione della corsa in ogni settore del circuito. La tecnologia è tutto, o quasi, ma a volte l’occhio conta ancora tanto. Per esempio, osservare di sfuggita il livello di degrado degli pneumatici di Hamilton mentre sfreccia sul rettilineo può dare indicazioni preziosissime ai cervelloni.
Ma non finisce qui: in collegamento da Maranello interviene il garage remoto. Un altro gruppo di ingegneri analizza in profondità l’enorme flusso di informazioni e lo interpreta per il muretto. Parliamo di terabyte, elaborati da processori potentissimi. È un passaggio fondamentale: l’intelligenza artificiale insieme a quella umana offrono soluzioni immediatamente applicabili. L’errore è sempre in agguato, basta chiedere alla Mercedes: il software che monitorava la distanza fra Vettel e Hamilton ha dato informazioni inesatte di cinque secondi. Un tempo eterno. Mentre sorrideva Iñaki. Madrileno, figlio di un pilota di rally, laurea in ingegneria meccanica in Colorado, ha iniziato con la McLaren. Poi la Renault di Alonso e la Lotus con Raikkonen e Allison. Nel 2015 lo prende la Ferrari, dove porta strategie spregiudicate e aggressive. Che stavolta lo hanno condotto in cima al podio.