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 2018  marzo 27 Martedì calendario

Scorie nucleari, per il deposito candidati 60 siti

Fermento per il deposito nazionale in cui in teoria bisognerà riunire le scorie radioattive ora disperse in più di 20 depositi in tutt’Italia, dal Piemonte alla Sicilia. Nei giorni scorsi il ministro uscente dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha annunciato per i prossimi giorni la pubblicazione di un documento attesissimo, contesissimo, scottantissimo e in ritardissimo: la Cnapi. Questa sigla impronunciabile che pare più il nome di un personaggio dei cartoni o di una merendina mediocre significa Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (appunto Cnapi) ed è la mappa dei luoghi che hanno tutte le caratteristiche per ospitare il capannone in cui riunire i fusti pieni di scorie, oggetti, scarti e cianfrusaglie radioattive.
Quali sono i luoghi idonei? La carta è ancora sotto segreto assoluto, con sanzioni per chi ne rivelasse i dettagli. Però si sa che sono poco più di 60 località, forse una settantina, distribuite in tutta Italia. Luoghi poco abitati, con una sismicità modesta, senza rischi di frane o di alluvioni. Una spolverata di decine di piccole aree dal Piemonte alla Calabria, soprattutto sulle colline del versante adriatico dell’Appennino, e due aree estese, una fra Toscana e Lazio e l’altra fra Puglia e Basilicata.
I tempi di decisione sono fissati dal decreto legislativo 31 del 2010 (e successive modifiche), che ha individuato la procedura per realizzare anche in Italia – come impongono i trattati internazionali – il deposito centralizzato in cui conservare in modo sicuro i rifiuti radioattivi.
Per decreto la carta Cnapi è stata consegnata dalla Sogin al Governo entro il 2 gennaio 2015 per avviare la prima grande consultazione pubblica che vorrebbe portare i sindaci e i cittadini a candidarsi per ospitare l’ambìto e temuto investimento. Da allora opportunità politiche, paura di solleticare il ventre molle delle proteste Nimby, il clima perenne di campagne elettorale hanno indotto a tenere la mappa chiusa nella cassaforte dei diversi Governi che si sono alternati. Però il ministro Calenda ha deciso di aprire quella cassaforte non appena si fosse chiusa la partita elettorale del 4 marzo, cioè ora.
Il documento è stato ritoccato dall’Ispra, l’istituto scientifico ambientale dello Stato, dopo i terremoti che negli anni scorsi hanno cambiato la mappatura sismica e dopo altri adeguamenti. Per esempio lo scavo di una profonda trincea mineraria ha diviso in due un’area idonea, rendendo ciascuna delle due metà troppo piccola per rientrare nei criteri.
Asseverata dall’Ispra, la carta Cnapi della Sogin è sotto l’osservazione dei due ministeri e attende il via libera dell’Ambiente per il giro finale di firme, controfirme e bolli. In teoria la carta potrebbe essere pubblicata questa settimana, se non saranno fatte valere le stesse paure (meglio: opportunità politiche) che l’hanno tenuta in frigorifero dal gennaio 2015.
Ma serve davvero il deposito? Tra un po’ la Francia e l’Inghilterra ci rimanderanno 800 metri cubi di scorie ritrattate e condizionate del combustibile delle quattro vecchie centrali italiane. In tutto sono 17mila metri cubi di rifiuti ad alta radioattività. Il problema vero sono i rifiuti radioattivi che si producono ogni giorno: reagenti farmaceutici, mezzi diagnostici degli ospedali come la risonanza magnetica nucleare, terapie nucleari, radiografie industriali. Perfino i parafulmini e i rilevatori di fumo che lampeggiano sul soffitto di cabine di nave e camere d’albergo contengono americio radioattivo. Sul totale di 78mila metri cubi, 33mila metri cubi di rifiuti sono già stati prodotti, mentre i restanti 45mila metri cubi verranno prodotti nei prossimi 50 anni. Tutto questo materiale oggi viene accumulato in alcuni centri provvisori, come l’area vercellese di Saluggia o i depositi nucleari della Casaccia alle porte di Roma.
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