La Stampa, 26 marzo 2018
Wes Anderson e la rivolta dei cani deportati
In una ventina d’anni e con soli otto film, Wes Anderson ha saputo crearsi una nicchia tutta sua. È l’originale, ironico, inventivo, eclettico e sempre imprevedibile autore di Rushmore e I Tenebaum e Il treno per il Darjeeling e Grand Budapest Hotel, che gli è valso tre nomination agli Oscar e un Golden Globe per la miglior commedia. In Fantastic Mr. Fox aveva usato la tecnica dell’animazione stop-motion e ora ci è tornato, con Isle of Dogs (in Italia L’isola dei cani).
Orso d’argento a Berlino, il nuovo film di Anderson è ambientato in un Giappone non molto lontano nel tempo nel quale Kobayashi, sindaco ereditario della città fittizia di Megasaki, usa una finta «influenza canina» per far deportare a Trash Island tutti i cani della città. L’improbabile accozzaglia di bastardi ed ex reginette di bellezza – malnutriti e malconci eppure capaci di mantenere una loro nobiltà in mezzo alla spazzatura e alla desolazione apocalittica che li circondano – si ribella e denuncia il complotto razzista.
Un’idea di sei anni fa
Una storia che sembra evocare la demagogia e la xenofobia dell’America contemporanea. Anderson però dice di aver iniziato a lavorare a questa storia sei anni fa, quando Donald Trump era solo una star dei reality show. «Veramente all’inizio pensavo di più all’Europa del XX secolo. Quindi potete immaginare come è stato strano, durante le riprese, vedere che ciò che stavamo raccontando era sulle prime pagine dei giornali del nostro Paese e di tutto il mondo».
Anche se quello di Anderson è un Giappone fittizio, ci sono molti riferimenti alla sua cultura e cinematografia. «Abbiamo pensato molto al cinema giapponese – spiega lui – ai film di Akira Kurosawa degli Anni 50 e 60, che sono stati molto importanti per noi. Facendo il film, ci siamo confrontati molto anche sui film d’nimazione di Hayao Miyazaki. Ho capito che in passato ho preso da questi film senza davvero esserne consapevole. Piccole idee, momenti. Ho preso molto anche dalle immagini della collezione giapponese del Metropolitan Museum. Quelle vecchie stampe sono state una fonte di ispirazione. Non ho cercato di imitarle, ma sono rimaste con me, nella mia memoria, e hanno trovato la loro strada dentro il film».
Wes Anderson, 48 anni, ha un seguito da culto, tra gli spettatori e tra gli attori. Per Isle of Dogs ha avuto le voci di, tra gli altri, Edward Norton, Bryan Cranston, Frances McDormand, Greta Gerwig, Scarlett Johansson, Harvey Keitel, Ken Watanabe, Yoko Ono e Tilda Swinton, che fa un cane capace di «comprendere la tv».
Come in quasi ogni altro suo film, c’è anche Bill Murray, che qui dà voce all’ex mascotte di una squadra di baseball. «Una mascotte è sempre lì, quando vinci e quando perdi non ti abbandona mai e anche quando sbagli crede in te», spiega il leggendario attore. «Non che Wes abbia bisogno di gente che crede in lui, ma devo dire fin dalle prime pagine di Rushmore, il mio primo film con lui, ho capito che era uno che sapeva quello che stava facendo. È uno di quelli che ti chiama e tu dici: a che ora? E che cosa devo indossare? Vorrei solo che un giorno facesse un western e che mi chiamasse. È bello lavorare con lui. Non so se era sua intenzione creare un club, ma siamo diventati parte di un repertorio di attori e di attrici su cui lui sa di poter contare. Sa che con noi si può divertire ed esprimere creatività. Perché anche se è molto preciso e meticoloso, quando giri c’è sempre un incidente, qualcosa che accade tra la seconda e la terza dimensione su cui è necessario intervenire».
Wes Anderson vede le cose con più modestia. «Quando fai un film animato – spiega – chiedi solo: mi puoi dare un paio di ore? Se chiami qualcuno che conosci è difficile per loro dire di no. Non possono nascondersi. L’unica ragione valida per dire di no è non voler fare parte del film e questo lo devi dire esplicitamente. Così, nessuno si è mai rifiutato». Neppure Yoko Ono... «È stato molto bello avere la creatività di Yoko nel film. E poterle rendere omaggio».