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 2018  marzo 26 Lunedì calendario

Manovrina lampo e 20 miliardi per il 2019. Ecco i primi vincoli del futuro governo

Flat tax e reddito di cittadinanza, i due cavalli di battaglia di Lega e 5 Stelle, oltre che costosissimi (più di 50 miliardi di euro il primo, 30 il secondo), sono di fatto due misure inconciliabili fra loro. Come segnalano Massimo Baldini e Leonzio Rizzo su lavoce.info «buona parte del risparmio di imposta generato dalla flat tax (34 miliardi su 58) andrebbe a favore delle famiglie residenti nell’Italia settentrionale e meno di un quinto a quelle residenti nel Mezzogiorno. Al contrario, il 58% della spesa totale per il reddito di cittadinanza (cioè circa 9 miliardi secondo le previsioni di spesa dei proponenti, fino al doppio se si prende alla lettera il disegno di legge) sarebbe ottenuto dalle famiglie del Sud e solo un quarto andrebbe al Nord». Impossibile quindi immaginare un accordo di governo capace di tenere assieme entrambe i progetti. Meglio smussare dunque, cercare punti di incontro a metà strada. Ma mentre sul piano fiscale uno choc paragonabile all’introduzione dell’aliquota unica ha poche alternative, anche se sia Di Maio che Salvini non perdono occasione per cavalcare il taglio delle tasse, sull’aiuto ai più poveri il dialogo potrebbe essere certamente più facile.
Rafforzare il Rei
Una strada potrebbe essere quella che suggerisce il presidente dell’Inps. Per Tito Boeri la proposta dell’M5S costa troppo, ma ciò non toglie che si possa comunque fare di più per ridurre la povertà. «Basterebbe aumentare gli stanziamenti a favore del Reddito di inclusione e non dare soldi a pioggia a chi non ne ha strettamente bisogno e basterebbero molto meno fondi» spiega. Secondo l’Inps si parla di 5-7 miliardi, per l’Alleanza contro la povertà ne basterebbe anche meno di 5. Una cifra sempre importante ma non impossibile. Il governo Gentiloni, infatti, a fine 2017 ha aumentato gli stanziamenti già previsti per il Rei portandoli a 2 miliardi per quest’anno, 2,5 nel 2019 e a 2,7 dal 2020. Cifre che consentono di aiutare 700 mila famiglie (anziché le 500 mila coperte col decreto di settembre) e quasi 2,5 milioni di persone su 4,7 e di aumentare del 10% (a 534 euro) il tetto massimo dell’assegno mensile. In realtà secondo l’Alleanza contro la povertà gli importi medi mensili, nonostante questi ritocchi, non bastano ancora a rendere dignitosa la vita di quell’8% di italiani che vive in povertà posto che, ad esempio, ad una singola persona servirebbero 316 euro al mese anziché i 187 che gli assicura oggi il Rei. Già dal prossimo luglio cadranno i paletti introdotti nella prima fase allo scopo di concentrare questo intervento a favore di minori, disabili e over 55 e quindi il sussidio diventa a tutti gli effetti universale, come chiedono i 5 Stelle, e può tranquillamente essere esteso ai giovani senza lavoro come propugna la Lega. Ma visto che i «sussidi a pioggia», come segnala anche Boeri, in questo campo sono un rischio concreto, la Lega in campagna elettorale ha proposto un «reddito di avviamento al lavoro» (Ral). In pratica un prestito a tasso zero, con la garanzia dello Stato, che può essere chiesto dai cittadini che si trovano in situazioni di difficoltà e restituito in vent’anni una volta trovata un’occupazione.
I vincoli di bilancio
Qualunque sia la soluzione finale che verrà trovata, sia sul fronte della povertà che delle tasse, dovrà fare i conti coi vincoli di bilancio ed i soliti paletti di Bruxelles. Tant’è che appena insediato il nuovo governo sarà subito chiamato a varare una manovrina da 3,5 miliardi per correggere il deficit di quest’anno. Poi dovrà mettere a punto il vero Documento di economia e finanza, perché quello del governo uscente fotograferà solamente le nuove stime di crescita, e quindi dovrà iniziare a ragionare sul 2019. Ma prima ancora di immaginare nuove spese o riduzione delle entrate, bisognerà recuperare almeno 20 miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia e sventare un nuovo aumento dell’Iva su cui tutte le forze politiche si sono dette d’accordo (costo 12,5 miliardi), finanziare la seconda tranche di aumenti nel pubblico impiego (2 miliardi) e 5 miliardi di spese indifferibili (missione all’estero, trasferimenti agli enti, ecc.). Ed eventualmente poi anche i 5 da destinare ai poveri. Ovviamente si potrebbe aumentare il deficit ma per l’anno prossimo l’Italia ha concordato con la Ue di scendere allo 0,9%: un passaggio molto stretto, a meno che non si voglia andare allo scontro frontale.